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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2014 alle ore 16:42.
L'ultima modifica è del 27 gennaio 2014 alle ore 17:09.

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Risolvere i problemi, o punire i colpevoli? L'ultima proposta della Bundesbank pone un tema fondamentale, nella gestione delle crisi. La Banca centrale tedesca ritiene che i paesi molto indebitati con una forte ricchezza privata dovrebbero imporre un'imposta patrimoniale "una tantum" prima di chiedere la solidarietà (Solidarität, dice il bollettino) dei partner. I cittadini, spiega, hanno la responsabilità delle azioni del loro governo.

Sia chiaro di cosa si sta parlando. Non di una "normale" patrimoniale, né di quell'inevitabile redistribuzione della ricchezza che segue una recessione, ma di un prelievo ingente, anche se isolato. Secondo un'analisi del Fondo monetario internazionale, per riportare i debiti pubblici ai livelli pre-crisi sarebbe necessario, in Eurolandia, un prelievo pari al 10% della ricchezza netta delle famiglie.
La proposta tedesca va allora presa per quella che è: l'enunciazione di un principio molto astratto, "ideale", da applicare agli Stati a rischio di insolvenza, quindi sull'orlo del collasso. Non sembra che al momento ci siano paesi in questa condizioni, né che possano esserci, se la Banca centrale europea farà il suo dovere ed eviterà la deflazione.

La stessa Bundesbank ammette poi la difficoltà di introdurre queste imposte che, in una fase di grande incertezza, colpiscono uno dei punti di forza su cui le famiglie fanno affidamento. Può poi essere davvero credibile il governo di un paese gravato da debiti insostenibili che – come consiglia la Banca centrale di Francoforte – annunci che la patrimoniale è soltanto una "una tantum"?
In ogni caso, colpisce sempre, la tendenza tedesca a porre le questioni economiche in termini morali. In tedesco il debito è Schuld, colpa, e con questo corto circuito semantico è facile poi far scivolare la retorica in quella che è stato chiamato il "Calvinismo economico". Non a caso viene invocata la responsabilità dei contribuenti per la responsabilità delle sue élites – un principio non immediato – e la "solidarietà" degli Stati partner, non certo disinteressati nei loro movimenti.

In politica economica, ai principi occorre però affiancare il calcolo dei costi e benefici. Non ci sono ricette valide per tutti. L'Italia – il primo paese a cui si pensa quando si parla di famiglie relativamente più ricche – ha per esempio un debito pubblico molto elevato, un debito delle aziende moderatamente alto con imprese che hanno però un leverage, il rapporto tra debito e patrimonio, più elevato della media di Eurolandia e molto dipendenti dalle banche e, soprattutto le piccole, dai crediti a breve termine. In questa situazione la relativa ricchezza delle famiglie – come spiega un recente rapporto del Fondo monetario internazionale – non è stata nascosta sotto il materasso, ma ha avuto un ruolo fondamentale, «ha mitigato l'impatto della crisi sulla qualità degli assets delle banche». Forse non è il caso di caricarla di troppo peso.

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