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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2014 alle ore 12:53.
L'ultima modifica è del 28 gennaio 2014 alle ore 17:12.

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Sorpresa: l'Italia è ricca di «cervelli», ma questi raggiungono la notorietà -e vengono di conseguenza citati nelle ricerche- soprattutto se decidono di non fare la scelta di "fuggire" all'estero, ma se invece, con tenacia e perseveranza, svolgono il loro lavoro nel nostro Paese.

Questo è quanto emerge infatti da uno studio pubblicato sull'"European Journal of Clinical Investigation", che combina per la prima volta diversi parametri di rilevamento della qualità della ricerca, secondo un nuovo metodo di misurazione sviluppato da un gruppo di ricercatori americani. In questo studio, sono presenti sei cervelli "tricolori" che lavorano in Italia fra i primi 400 scienziati più influenti al mondo,

Il metodo seguito per la ricerca, nell'intenzione degli autori consentirebbe una maggiore efficienza nella valutazione, a vantaggio della meritocrazia e di una migliore gestione dei finanziamenti.

Secondo il nuovo ranking made in Usa, lo scienziato italiano attivo in Italia che guadagna la posizione migliore nella 'top 400' è Alberto Mantovani, direttore scientifico dell'Irccs Humanitas di Rozzano e docente dell'università degli Studi di Milano.
Con lui spiccano altri 5 nomi di cervelli italiani rimasti a lavorare in patria: Antonio Colombo dell'università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Giuseppe Remuzzi dell'Istituto Mario Negri di Bergamo, Giuseppe Mancia dell'università di Milano Bicocca, Vincenzo Di Marzo del Cnr di Pozzuoli, e Alberto Zanchetti dell'università degli Studi di Milano.

«E' interessante notare - ha commentato Mantovani - che 5 di questi 6 scienziati lavorano in strutture di Milano e Bergamo, a conferma dell'alto livello di ricerca che si conduce da queste parti». In classifica si distinguono anche altri nomi di italiani, che però lavorano all'estero, come Carlo Croce dell'università dell'Ohio e Napoleone Ferrara alla Genentech Incorporated. Assenti, invece, scienziati stranieri di alto livello che lavorano in Italia.
«È una realtà che purtroppo conosciamo bene - aggiunge Mantovani - siamo bravi a esportare scienziati di qualità, ma non riusciamo ad attirare quelli stranieri». Lo studio che suggerisce un nuovo metodo di classificazione dell'impatto scientifico dei ricercatori è stato coordinato da John Ioannidis, professore di medicina e direttore del Prevention Research Center della Stanford University School of Medicine. «Ioannidis è uno scienziato autorevole e originale - precisa Mantovani - e lo conferma il fatto che anche lui è presente nella lista».

La metodologia
Ioannidis e colleghi - spiega una nota di Humanitas - sono partiti dal database Scopus, che contiene i dati identificativi di tutti i 15.153.100 autori di articoli scientifici. Per ognuno sono stati calcolati il numero di articoli pubblicati dal 1996 al 2011 e il numero di volte in cui questi articoli sono stati citati. Questi dati sono poi stati usati per calcolare il relativo "h-index", che viene usato per quantificare la prolificità del lavoro degli scienziati. Gli studiosi si sono quindi concentrati sui migliori autori o in base al loro h-index o per il loro numero totale di citazioni. Questi valori sono poi stati normalizzati e usati per ottenere una lista finale dei 400 migliori ricercatori che pubblicano prevalentemente nel campo biomedico. (f.s.)

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