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Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2014 alle ore 07:23.
L'ultima modifica è del 30 gennaio 2014 alle ore 07:42.

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Indaga Bolzano. Ma torniamo alle azioni di corruzione di cui dicevamo all'inizio. Il primo ad accorgersi delle anomalie presenti nel cosiddetto Progetto Sicilia fu l'allora sostituto procuratore (oggi capo della Procura) di Bolzano, Guido Rispoli. Che c'entra la Sicilia con l'Alto Adige? Il nesso è casuale. Nella seconda metà degli anni Duemila, Rispoli si trovò a indagare sulla tedesca Lurgi – subholding interamente posseduta da Gea – la cui controllata Lentjes aveva il 20% di Pianimpianti, poi ridotto all'8,23 per cento. Il pm scoprì che la Lurgi aveva pagato tangenti per aggiudicarsi il termovalorizzatore di Colleferro, in provincia di Roma, e che era invischiata in altre attività corruttive per la realizzazione di analoghi impianti in diverse zone d'Italia.

Lurgi vuota il sacco. Grazie a una perquisizione in Germania, nel quartier generale della Lurgi, il pm acquisì documenti che inchiodavano l'azienda. Per la legge 231 sulla responsabilità penale delle società, l'impresa rischiava di non potere più lavorare con la pubblica amministrazione italiana. Per archiviare l'incresciosa vicenda, non le restò che la via del patteggiamento. Lurgi staccò alla Procura un assegno di 3,7 milioni di euro e incaricò Ernst & Young di effettuare una verifica ispettiva su tutte le attività che aveva in corso in Italia. Le conclusioni della società di revisione non davano adito a dubbi: «Sono emersi per tutti gli appalti italiani episodi oscuri in relazione a versamenti per provvigioni e/o sovrafatturazioni», e tiravano pesantemente in ballo la Sicilia. Fu così che Rispoli, nell'aprile 2008, trasmise uno stralcio dell'inchiesta alla Procura di Palermo.

Le sovrafatturazioni. Le carte provenienti da Bolzano contenevano elementi investigativi che appaiono, ancora a distanza di parecchi anni, di notevole interesse. Il valore della commessa in questione era stimato in 505 milioni, per il 45% di competenza di Lurgi (che nel frattempo aveva conferito le proprie attività alla partecipata Lentjes) e per il 55% di competenza di Pianimpianti, l'azienda di Crotone di cui era amministratore delegato e socio all'80% Roberto Mercuri. E su quella commessa sarebbe stata pagata una mazzetta multimilionaria.
Dall'ispezione di Enrst & Young emergevano «...indizi che fanno presumere che un valore pari a 38 milioni di euro non abbia diretta correlazione con le commesse; che tale importo sia entrato a far parte delle commesse per effetto di sovrafatturazioni; che le transazioni per l'importo sopra citato siano state realizzate attraverso Pianimpianti e Lurgi; che le persone coinvolte sono state oggetto di indagini penali in Italia e in Germania per accuse di corruzione e che hanno fornito informazioni incomplete e contraddittorie sui fatti». La Procura di Palermo proseguì le indagini? Con quali risultati? Chi erano i percettori delle tangenti?

Uno stralcio da 800 pagine. La magistratura bolzanina riteneva che le notizie sulla Sicilia, emerse dal procedimento su Colleferro, fossero «meritevoli di approfondimento»; che fosse utile «intraprendere nuove attività» investigative. Per questo spedì un incartamento di 800 pagine al procuratore della Repubblica di Palermo, Francesco Messineo.
A Palermo la pista dei termovalorizzatori era già da tempo battuta dall'allora procuratore aggiunto Roberto Scarpinato (oggi procuratore generale presso la Corte d'Appello), che dirigeva il dipartimento di criminalità economica. Scarpinato aveva intuito, attraverso le indagini, che il progetto dei maxi-inceneritori e l'interesse di Cosa nostra per il settore dei rifiuti in Sicilia erano in stretta correlazione tra loro.

L'audizione di Scarpinato. Il 12 ottobre 2007 il magistrato che aveva collaborato con Falcone e Borsellino partecipò a un'audizione dinanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle ecomafie, presieduta da Gaetano Pecorella. In quella sede lanciò l'allarme sull'impianto che Pea avrebbe dovuto realizzare a Bellolampo: osservò «come l'organizzazione mafiosa fosse incisivamente intervenuta per acquisire il controllo economico dell'intero ciclo dello smaltimento dei rifiuti urbani in tutta la Sicilia» e denunciò la «cooperazione di mafiosi, politici, professionisti e imprenditori anche non siciliani, finalizzata ad aggiudicarsi il monopolio degli appalti della discarica di Bellolampo per la progettazione e la realizzazione di un inceneritore».
Scarpinato continuò ad indagare finché non lasciò Palermo per assumere l'incarico di procuratore generale a Caltanissetta. Cosa accadde dopo la sua uscita?

L'audizione di Messineo. Nella relazione conclusiva dei lavori la Commissione sottolineava come l'indagine sui termovalorizzatori ed in particolare sugli appalti e sulle convenzioni fosse stata aperta «solo a seguito della denuncia sporta dall'amministrazione regionale». E ricordava l'audizione del 2009 di Messineo: «il quale, rispondendo ad una specifica domanda, aveva precisato che a quella data la Procura di Palermo non si era occupata della vicenda dei termovalorizzatori per profili diversi da quello ambientale».
Insomma, nonostante l'allarme lanciato da Scarpinato nel 2007, ancora nel 2009 il vertice della procura di Palermo ammetteva di avere indagato solo per il reato di danno ambientale. Nessun cenno alla corposa documentazione e alla notizia di reato che erano arrivate da Bolzano. Saranno i giudici amministrativi a fare emergere molti anni dopo, nel 2013, l'esistenza di un tavolo di spartizione degli appalti.

FINE DELLA PRIMA PUNTATA (CONTINUA)

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