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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2014 alle ore 06:44.

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Carmine Fotina
Burocrazia, tempi di attesa infiniti, condizioni quasi "capestro". La strada di chi sogna una Silicon Valley in Italia resta lastricata da mille ostacoli e salite impervie. Colpa di bandi che invece di aiutare affossano chi vuole fare innovazione nel nostro Paese.
L'ultima corsa a ostacoli in ordine di tempo riguarda il bando sulle start up del ministero dell'Università, Istruzione e Ricerca che dopo un'istruttoria rapida – una decina di mesi, record positivo per i tempi biblici dei bandi italiani – ha selezionato 39 progetti per un finanziamento di circa 30 milioni. Tutto bene dunque? No perché i vincitori aspiranti startupper – dopo una verifica di sostenibilità dei progetti da parte delle banche convenzionate – si sono visti avanzare una richiesta imprevista e non aggirabile: se vuoi avere i finanziamenti devi prima versare di tasca tua fondi ”freschi” e in tempi molto stretti. Una ricapitalizzazione, per somme vicino anche ai 50mila euro, necessaria – spiegano i tecnici – per minimizzare i rischi della banca, ma che per un'impresa appena nata come una start up è un'operazione tutt'altro che semplice. Dopo le proteste di diversi startupper il ministero sta tentando ora di mettere una pezza. Nei giorni scorsi il Miur dopo alcuni incontri con i partecipanti al bando ha promesso di allentare il vincolo – si parla di diluire in un anno i versamenti con delle rate – e di affiancare le imprese con tutor pescati tra venture capital e business angel. Si vedrà se ci sarà un lieto fine. Che invece sembra non esserci stato per un altro bando, sempre per le start up, targato questa volta ministero dello Sviluppo economico e lanciato nel lontano 2009 (55 milioni). Anche in questo caso non solo sono stati chiesti aumenti di capitale spesso proibitivi per accedere gli aiuti, ma ci sono voluti più di tre anni per arrivare ai decreti di finanziamento. Per una start up si tratta di un'era geologica.
Un altro esempio di evidente contraddizione tra la "retorica dell'innovazione" e le lungaggini ministeriali è il bando sulle smart cities lanciato tra squilli di tromba nel luglio del 2012 dal Miur e che ancora non ha concluso la sua istruttoria. In stand by ci sono 32 progetti ammessi al finanziamento con imprese, atenei e centri di ricerca che aspettano 600 milioni di aiuti. Ma in attesa c'è anche un drappello di giovanissimi under 30 che hanno partecipato a un mini bando sull'innovazione sociale legato a doppio filo a quello sulle smart cities e che dopo l'approvazione dei loro progetti attendono ancora i 25 milioni promessi. Soldi questi bloccati perché senza il via libera al bando più grande non si possono attivare i loro progetti che tra l'altro, da regolamenti, dovrebbero chiudersi entro il 2015. Il Miur, dunque, dopo le ultime verifiche "in loco" dei progetti effettuate nei giorni scorsi dovrebbe chiudere il bando smart cities entro i primi dieci giorni di febbraio. Ma non bisogna farsi illusioni. Per vedere i fondi bisognerà aspettare almeno 5-6 mesi perché l'Economia deve sbloccarli: il budget risale infatti a vecchie risorse finite in "perenzione" che hanno bisogno di tempi lunghi per essere riutilizzate. Il bando insomma si chiuderà se tutto va bene la prossima estate, a due anni esatti dal suo lancio.
La casistica sui bandi è comunque infinita. Capostipite di tutti i flop, come sottolineato di recente anche dalla Corte dei conti, è il progetto Industria 2015. A oltre 6 anni di distanza, solo tre programmi sono stati portati a compimento e degli oltre 663 milioni messi sul piatto ne sono stati spesi poco più di 23, il 3%. Gestione farraginosa, per usare un eufemismo. In altri casi ci si è messa di mezzo la piattaforma informatica, che ad esempio, prima che fosse trovata una soluzione, per qualche giorno a settembre ha mandato in tilt il programma Smart & Start gestito da Invitalia. Forti ritardi, storicamente, si sono registrati sulle risorse a valere sulla vecchia legge 46/82, anche se nel 2013 si è tentata un'accelerazione ammettendo al finanziamento 317 imprese. I bandi sono anche lo strumento prescelto dallo Sviluppo economico per assegnare i primi 300 milioni del Fondo crescita sostenibile, creato attraverso una parziale razionalizzazione del sistema degli incentivi. Il decreto dello Sviluppo del 20 giugno 2013 mette a bando le risorse ancorandole alle tecnolgie segnalate dal programma Ue Horizon 2020, ma al momento è difficile prevedere i tempi per arrivare alle erogazioni.
Le complessità e le lungaggini legate allo strumento dei bandi sono all'attenzione anche di esponenti della maggioranza. Raffaello Vignali, relatore del decreto Destinazione Italia alla Camera, durante un'audizione ha lanciato l'idea di ridurre il plafond per i bandi per dirottarlo a favore di strumenti automatici, come il credito d'imposta. L'ipotesi non sembra di facile realizzazione, ma almeno la discussione è ufficialmente aperta.
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