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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2014 alle ore 06:42.

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La prima telefonata Claudio Scajola l'ha ricevuta da Silvio Berlusconi: «Ti ho detto che dicevo la verità», ha spiegato all'ex presidente del Consiglio. Sono passati dieci minuti, da quando alle 15 di ieri il giudice monocratico di Roma, Eleonora Santolini, ha assolto «perché il fatto non costituisce reato» l'ex ministro dello Sviluppo economico. Dietro il regalo dell'imprenditore Diego Anemone, di un appartamento vista Colosseo, non ci sarebbe stato alcun finanziamento illecito.
Dopo tre anni e nove mesi si chiude il primo grado del processo – nato dalla maxi inchiesta sul «sistema Anemone» – i cui supposti reati comunque volano verso l'imminente prescrizione. La stessa di cui, ieri, ha potuto beneficiare Anemone, uscito «prosciolto» solo perché il reato si è estinto per scadenza dei termini. Dagli atti investigativi del procuratore capo Giuseppe Pignatone – suffragati dai precisi accertamenti della Guardia di finanza di Roma al comando del generale Ivano Maccani – Anemone avrebbe attuato «un esteso sistema corruttivo» portato avanti «dal 1999 al 2000» accaparrandosi appalti pubblici (G8 e Grandi eventi) per 300 milioni di euro.
Tuttavia, per Scajola non ci sarebbero elementi tali da poter supportare una condanna per illecito finanziamento. Secondo l'ipotesi dei magistrati di piazzale Clodio, Anemone, attraverso l'architetto Angelo Zampolini – uno dei factotum del costruttore – avrebbe versato alle sorelle Papa (ex proprietarie dell'immobile di 180 metri quadrati) una serie di assegni per un totale di 900mila euro più 200mila in contanti a copertura del saldo per l'appartamento, venduto come risulta dal rogito notarile, per 1,7 milioni di euro. La cifra si raggiunge sommando i 600mila euro che Scajola versò al momento dell'acquisto grazie alla stipula di un mutuo. C'è da dire, però, che sotto indagine il politico si era difeso sostenendo, addirittura, di «non sapere» e «non ricordare» i particolari dell'acquisto dell'appartamento di via del Fegutale – con vista sull'anfiteatro Flavio – oltre alla celebre affermazione che tutto era stato fatto a «mia insaputa». Tesi difensiva che i pm Ilaria Calò e Roberto Felici avevano giudicato «assolutamente incredibile», ritenendo impossibile che «Scajola non si era reso conto che qualcuno al suo posto versasse una somma così enorme, pari a 1 milione e 100mila euro».
In questa vicenda, però, non ci sarebbero stati reati. Lo ha deciso il Tribunale monocratico davanti all'ex ministro, visibilmente commosso e attorniato dal suo legale, l'avvocato Giorgio Perroni, e dagli amici che lo hanno seguito passo passo durante tutte le fasi dell'inchiesta giudiziaria e del dibattimento. La telefonata del Cavaliere giunge improvvisa, così come le parole di conforto ricevute da Fedele Confalonieri e dall'avvocato Niccolò Ghedini. A loro dice: «Avevo detto la verità. Ora dopo la sentenza questa verità assume ancora più valore».
Ai cronisti che lo circondano spiega che «mi sono dimesso da ministro perché mi ero reso conto che qualsiasi cosa dicessi per difendermi non risultava credibile, anche se era la verità. Ho preferito fermarmi e aspettare perché mi attaccavano da tutte le parti. Ho sempre rispettato la magistratura ma, come ho scritto questa mattina in un messaggio a mia moglie, la verità prima o poi viene sempre fuori». Tuttavia tiene a precisare di aver «patito sofferenze per tre anni e nove mesi, un tempo che nessuno mi restituirà». Adesso, ha concluso, «penso a tornare a casa e a riabbracciare la mia famiglia».
Immediate le reazioni politiche, seguite alla sentenza di assoluzione. Il capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, Renato Brunetta, si affida a un tweet: «Per l'assoluzione di Scajola si dovrebbero vergognare e dovrebbero chiedere scusa coloro che lo hanno ignobilmente colpito». La eco giunge anche dall'ex ministro e deputato di Fi, Raffaele Fitto, il quale invia «a Claudio Scajola un abbraccio per questa giornata in cui gli sono state riconosciute, se non altro, le sue ragioni giuridiche». Ma aggiunge: «Ciò che non potrà essergli restituito è invece il dolore di un triennio di attacchi politici e personali devastanti. Spero che tanti, al di là delle appartenenze politiche, vogliano riflettere su questa assoluzione».
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