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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2014 alle ore 06:41.


Non esclude un altro mandato presidenziale, il capo di Stato turco Abdullah Gul, nell'intervista al Sole 24 Ore.

Alberto Negri
ISTANBUL. Dal nostro inviato

E attacca la corruzione esplosa con le indagini della magistratura, proclama con forza la separazione dei poteri, si propone come mediatore nello scontro tra il governo e l'imam Fetullah Gulen, indica l'adesione all'Europa come irrinunciabile ma difende anche i risultati di un decennio di potere musulmano assicurando che la crisi è solo «congiunturale»: il presidente turco, da oggi a Roma, in questo colloquio concesso sul Bosforo si presenta come un'alternativa alle ambizioni di Erdogan, offuscate dalla repressione di Gezi Park e dagli scandali. Fa sfoggio di autoironia quando gli rammento la sua prima intervista al Sole 24 Ore del 17 gennaio 1998: il partito islamico Refah era stato messo fuorilegge, così come il suo capo Necmettin Erbakan mentre Erdogan, sindaco di Istanbul, era finito dietro le sbarre. «Ero l'unico dei leader del partito a piede libero, purtroppo non aveva altra scelta che parlare con me».
Tenace, attaccato ai valori religiosi della sua Anatolia, Gul, nato a Kayseri 64 anni fa, è l'uomo delle svolte e lo rivendica con orgoglio: «Sono stato il primo capo di governo del partito Akp quando vincemmo le elezioni nel 2002». Calmo e riflessivo, al contrario del compagno di strada Erdogan rispetta l'indipendenza dei giornalisti ed esibisce un umorismo garbato, mai abrasivo.
«Vorrebbe diventare in agosto anche il primo presidente turco eletto direttamente dal popolo?». Una poltrona cui aspira Erdogan che gli lascerebbe il posto di premier, uno scambio alla Putin-Medvedev da attuare dopo una riforma presidenziale della repubblica che appare al momento condizionata dai risultati delle municipali del 30 marzo, test decisivo per l'Akp che rischia di perdere i sindaci di Ankara e forse di Instabul, roccaforte strategica con 12 milioni di abitanti e un terzo del Pil.
Gul fa intravedere la disponibilità a ricandidarsi. «È corretto che me lo chieda, una curiosità legittima dentro e fuori dalla Turchia. Ma c'è ancora tempo, quando si avvicinerà la scadenza valuteremo la situazione: mi deve scusare ma altri presidenti nella mia stessa situazione hanno dovuto rispondere in questo modo».
Nel '98 i militari avevano messo fuori gioco l'Islam politico ma Gul rispose allora che il movimento non era affatto finito. Adesso dopo un decennio di vittorie dell'Akp il “modello turco”, un tocco di nostalgia ottomana e molta crescita economica, è in crisi sul piano politico e sui mercati dove la banca centrale ogni giorno è costretta a difendere la moneta.

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