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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2014 alle ore 08:48.

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Roma - È molto secco Gaetano Quagliariello. «Se fallisce la riforma elettorale c'è solo il voto». Il ministro del Nuovo centro destra non vuole avventurarsi negli scenari che in queste ore sono la pratica più diffusa in Transatlantico. Lui è netto e non vede altro che elezioni anticipate. Si sa che il ministro per le Riforme è un uomo vicino al Quirinale, uno dei saggi che Giorgio Napolitano scelse all'indomani del voto di febbraio "anticipando" una configurazione politica che sarebbe stata quella delle larghe intese. Dunque è un politico cauto ma la prudenza sembra non sia di queste ore: senza riforma lui non vede né la prosecuzione – sia pure stentata – del Governo Letta né un nuovo Esecutivo guidato da Renzi. «Ma con quale maggioranza? Con noi? Ma se ha cercato di soffocarci in culla? Forse potrebbe con Berlusconi e Forza Italia ma per Renzi sarebbe un vero azzardo». Insomma, per Quagliariello l'unica strada sarà quella di prendere atto di un fallimento che il leader del Pd scaricherà sul Parlamento e sul Governo.

Ragiona con lo stesso schema anche Giorgio Tonini, vicepresidente del gruppo Pd al Senato, anche lui da sempre molto vicino alle posizioni del Colle. «Credo che la legislatura non avrebbe più senso di continuare. È vero, Renzi sarebbe il grande sconfitto e Berlusconi e Grillo i vincitori, è vero che il Pd andrebbe al voto indebolito ma Renzi si prenderebbe una rivincita sul gruppo Pd facendo lui le liste. E si prenderebbe anche quella con i piccoli partiti visto che con la legge uscita dalla Consulta c'è la soglia del 4% alla Camera e dell'8% al Senato». Uno scenario da brivido visto che con il meccanismo proporzionale di questa legge e con quelle soglie, ci sarebbero solo tre partiti e il Pd si troverebbe nella stessa condizione dello scorso febbraio, tra Grillo e Berlusconi. «Ma quale altra strada ha Renzi se non il voto? Deve dare una risposta politica alla sua sconfitta davanti agli italiani, e le urne lo sono. Non credo in un Governo Renzi con Berlusconi, sarebbe un'extrema ratio ma davvero troppo debole, e così la permanenza di Letta», insiste Tonini che chiude il ragionamento escludendo le dimissioni di Giorgio Napolitano. «È vero che il presidente le ha messe sul tavolo ma non credo che deciderà di sommare la crisi politica che scoppierebbe con il fallimento delle riforme alla crisi istituzionale che si aprirebbe con il suo abbandono. Penso che prima scioglierà le Camere e dopo il voto lascerà».

Chi invece non vede affatto uno scenario di elezioni è la minoranza del Pd. Ragionava Stefano Fassina: «Ma a Renzi questa legge elettorale non conviene, è un proporzionale con preferenze: sarebbe costretto a un nuovo governo di larghe intese e le preferenze non gli danno alcuna garanzia di controllo sui prossimi gruppi elettorali del Pd. Penso invece che potrebbe continuare Letta o prendere lui la guida dell'Esecutivo». Ragionamenti comuni nell'area di sinistra dove non si crede affatto alla minaccia di Renzi sul voto. Anzi molti pensano che "accompagnerà" Letta verso il ruolo di commissario Ue e lui si metterà al comando di Palazzo Chigi. Uno scenario che varrebbe anche nel caso passasse la sua legge elettorale. «Una riforma che conviene solo a Berlusconi visto che lui ha una coalizione mentre il Pd no», dicevano. E allora piuttosto che perdere con il partito del Cavaliere, Renzi andrebbe a Palazzo Chigi, promettendo le riforme costituzionali, e restando fino al 2018 quando il Cavaliere avrà superato gli 80 anni.

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