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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2014 alle ore 06:43.

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I mercati finanziari condividono l'idea che negli Usa qualcosa di simile a una ripresa ciclica del tipo classico potrebbe essere vicina.
A prima vista, l'ottimismo è giustificato. Nella seconda metà del 2013 la crescita del Pil reale si è attestata attorno al 4%, quasi il doppio del tasso dei quattro anni precedenti (2,2%). Il tasso di disoccupazione è sotto la soglia del 7 per cento. E la Federal Reserve ha corroborato questo scenario, in apparenza promettente, avviando un'operazione di tapering sugli asset a lungo termine.
A mio avviso, però, è presto per tirar fuori lo champagne. Un incremento della crescita del Pil per due trimestri consecutivi non significa essere guariti. Una situazione simile si è verificata già due volte dopo la fine della Grande Recessione. In entrambi i casi, il miglioramento si è rivelato effimero.
Stavolta un risultato simile non giungerebbe a sorpresa. L'accelerazione della crescita del Pil è stata determinata da una ricostituzione delle scorte insostenibile. Nei primi tre trimestri del 2013, gli investimenti in scorte rappresentavano il 38% dell'incremento del Pil, pari al 2,6 per cento. Tolto questo rialzo, la crescita annua delle "vendite finali" ai consumatori, a imprese e governo ha raggiunto una media di appena l'1,6 per cento.
Ecco la questione: i problemi di bilancio soffocano il consumatore americano. La domanda al consumo è la chiave del malessere. Il crollo record della domanda al consumo durante la Grande Recessione è stato seguito da una crescita dei consumi ostinatamente mediocre.
Ciò non dovrebbe sorprendere. Il consumatore è il maggiore bersaglio della crisi. Troppe famiglie hanno scommesso sulla bolla immobiliare, convinte che il guadagno potesse sostituire in modo permanente un reddito da lavoro stagnante, e hanno utilizzato questi profitti per sostenere un'impennata consumistica da record. E hanno attinto a una bolla del credito mostruosa per finanziare il divario tra spesa e risparmio basato sul reddito.
Quando le bolle sono scoppiate, i consumatori americani asset-dipendenti si sono esposti al ceppo americano della malattia giapponese diagnosticata per la prima volta da Richard Koo, economista del Nomura Research Institute. Koo ha sottolineato i pericoli di una recessione di bilancio incentrata sul settore aziendale dell'economia giapponese; la sua analisi si può applicare anche ai consumatori statunitensi bolla-dipendenti. Quando la garanzia su cui si basa un eccesso di leva è soggetta a una forte pressione, quello che Koo chiama incentivo al deleveraging per "rifiuto del debito" ha la precedenza sulla spesa discrezionale. E le imprese "zombie" del Giappone hanno danneggiato quelle sane dell'economia.
Gli indicatori del risanamento del bilancio Usa non evidenziano l'inizio della ripresa che molti considerano dietro l'angolo. Il rapporto debito/reddito delle famiglie è sceso al 109%, al di sotto del picco del 135% di fine 2007, ma ancora 35 punti sopra la media degli ultimi tre decenni del XX secolo.
Il tasso di risparmio personale è al 4,9% a fine 2013, in aumento rispetto al valore minimo del 2,3% nel terzo trimestre del 2005; tuttavia, rimane 4,4 punti sotto la media del periodo 1970-1999. Secondo questi parametri, il risanamento della bilancia dei pagamenti dei consumatori è avvenuto a metà.
Gli ottimisti vedono la cosa con occhi diversi. Incoraggiati da una riduzione dei costi del servizio del debito per le famiglie e dal calo della disoccupazione, sostengono che l'incubo è finito. Pia illusione. Il calo degli oneri per il servizio del debito è conseguenza della politica di azzeramento dei tassi di interesse della Fed. Finché lo stock del debito resterà in eccesso, i consumatori liquideranno la riduzione degli interessi come nulla più che un aiuto temporaneo da parte della Fed.
Il calo della disoccupazione riflette la cupezza del mercato del lavoro. Se il tasso di partecipazione alla forza lavoro fosse al 66%, come a inizio 2008, anziché al 62,8% come a fine 2013, il tasso di disoccupazione sarebbe pari a poco più dell'11%, non al 6,7 per cento.
Qualche progresso verso la ripresa c'è stato ma, come hanno illustrato Carmen Reinhart e Ken Rogoff, guarire dopo una crisi è un percorso lento e doloroso.
(Traduzione di Federica Frasca)
© PROJECT SYNDICATE, 2014

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