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Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2014 alle ore 17:33.
L'ultima modifica è del 30 gennaio 2014 alle ore 19:15.

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La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha rifiutato la domanda di Silvio Berlusconi di trattare «con procedura prioritaria» il suo ricorso contro la legge Severino. Lo ha reso noto la stessa Corte. In base alla legge Severino Palazzo Madama ha deciso la decadenza del Cavaliere da senatore lo scorso 27 novembre, dopo la sua condanna definitiva per frode fiscale nel processo Mediaset.

La difesa di Berlusconi
La tesi dei difensori dell'ex premier è nota: la legge Severino (entrata in vigore alla fine del 2012) che impone la decadenza e la non candidabilità per i condannati, scrive il leader di Forza Italia nel suo ricorso alla Corte di Strasburgo, è «contraria al divieto di retroattività delle sanzioni penali» e per questo viola l'articolo 7 della Convenzione dei diritti dell'uomo. Le doglianze non finiscono qui: nelle 33 cartelle del documento si legge che la norma anticorruzione voluta dal governo Monti è contraria all'articolo 3, protocollo 1 del Cedu, quello che stabilisce il diritto a libere elezioni.

Ancora nessuna decisione sull'ammissibilità del ricorso
La decisione odierna della Corte non riguarda però né l'ammissibilità né il merito del ricorso di Berlusconi. Lo confermano fonti dell'istituzione di Strasburgo, precisando che «questo non significa che sia stato respinto il ricorso, che resta pendente dinanzi alla Corte». Finora, infatti, «nessuna decisione è stata ancora presa sulla ricevibilità o nel merito del ricorso».

Il precedente del candidato del Molise
Il 21 gennaio la Corte di Strasburgo aveva dichiarato "ricevibile" un ricorso sulla retroattività della legge Severino sull'incandidabilità. Il caso concreto si riferisce a un candidato alle regionali del Molise, ma questo primo sì della Corte potrebbe avere un rilievo anche rispetto al caso di Berlusconi che ha presentato ricorso analogo per violazione dell'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in base al quale «nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale»

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