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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2014 alle ore 08:18.

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«Il mandato a Goldman Sachs? Serve a trovare la migliore soluzione per noi. Che non si può limitare al solo Veneto, ma deve essere invece cercata all'interno di un quadro più ampio, come quello europeo». Vincenzo Consoli, amministratore delegato di Veneto Banca, uno dei 15 istituti che nei prossimi mesi finiranno sotto la Vigilanza della Bce. E così facendo sembra rispondere indirettamente a Gianni Zonin, presidente della Banca Popolare di Vicenza, che nei giorni scorsi ha aperto la porta all'ipotesi di un'aggregazione tra i due istituti («fino a qualche tempo fa l'avrei esclusa a priori, oggi dico ni», aveva detto Zonin).
Dottor Consoli, una fusione con Vicenza è possibile?
Credo che un'operazione del genere vada studiata bene prima di farla. È vero, ci sono contatti costanti tra i due gruppi ma ad oggi non c'è nulla di concreto. In ogni caso mi chiedo se, per fare un'operazione di tale impatto, non sia meglio aspettare l'Asset quality review.
Perché?
Chiarirebbe lo stato di salute di tutti i gruppi interessati. L'Aqr, che durerà da marzo a novembre, rappresenta uno spartiacque per le banche europee. Non se ne può non tenere conto e fare operazioni straordinarie in quella fase. Se invece qualcuno è già sicuro dei risultati e vuole anticipare i tempi, magari per avere dei conti più belli, allora faccia un'offerta di acquisto e noi la porteremo in assemblea. Ma deve essere un'offerta che dia vantaggi ai soci e tenga conto del fatto che siamo una bella banca: la prima popolare non quotata per masse amministrate, con una attività caratteristica buona e liquidità in cassa. Comunque, a proposito di Vicenza, mi farei una domanda.
Ovvero?
A chi giova un'operazione come la fusione? Indebolirebbe la concorrenza sul territorio, ci sarebbe una concentrazione del rischio, si ridurrebbe il supporto alle imprese, senza parlare del problema occupazionale, creato dalla sovrapposizione di oltre 150 sportelli. Da quello che percepisco da parte dei soci non c'è interesse per un'operazione simile.
Dal matrimonio con un altro partner non si scappa, il suggerimento di Bankitalia è chiara.
Noi pensiamo di avere le capacità per continuare a mantenere l'indipendenza ma ci atteniamo alle indicazioni di Palazzo Koch, sono loro a dirigere il traffico. Se ci viene suggerita un'aggregazione noi ci allineiamo.
Il mandato a Goldman Sachs serve a questo?
Serve a valutare il nostro posizionamento in Italia e in Europa. In questo quadro dobbiamo trovare la migliore soluzione strategica per noi, che non si limita al solo Veneto. Serve ampliare lo sguardo a tutto il Vecchio Continente, pur senza dimenticare l'Italia. In tempi brevi ci presenteranno i risultati.
Oggi avete un Core Tier 1 del 7,2%. Come contate di superare gli esami della Bce?
Abbiamo già deliberato la conversione del soft mandatory che vale l'1,37% e che avrà decorrenza dal primo luglio. Aggiungeremo l'1% grazie alla vendita di Bim, che si concluderà entro aprile e per cui abbiamo ricevuto già una dozzina di manifestazioni di interesse. Contiamo di arrivare al 9,57% a metà anno.
Può essere sufficiente?
Penso di sì. Abbiamo già avuto una lunga ispezione da parte dei Bankitalia e fatto accantonamenti rilevanti. La settimana prossima, inoltre, vareremo la nuova struttura manageriale, che prevede un nuovo Cfo, maggiori poteri al risk management e più deleghe ai consiglieri.
Escludete un aumento di capitale?
In questa fase siamo sereni, ma nella vita non si può escludere nulla.
Cosa farete delle partecipazioni in Ferak ed Effeti?
Contiamo di uscire il prima possibile, i prezzi attuali sono già superiori ai nostri prezzi di carico. Non vorremmo che quelle operazioni riflettessero ciò che non ci appartiene. Noi siamo una banca popolare, non vogliamo sedere in alcun salotto.
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