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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2014 alle ore 06:43.
Da un lato la Banca d'Italia sta imponendo agli istituti di credito le «pulizie» forzate dei bilanci, in vista dell'esame della Bce: questo dovrebbe incentivarle, già nei bilanci di fine 2013, a svalutare in maniera più consistente i crediti deteriorati. Dall'altro la recente legge di Stabilità ha aumentato i benefici fiscali per le banche che rettificano il valore dei crediti dubbi in bilancio: anche questo potrebbe favorire le «pulizie». Infine il tanto discusso decreto sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia potrebbe, regalando un beneficio contabile, aiutare gli istituti di credito a coprire parte delle perdite derivanti da queste «pulizie» di bilancio.
Nonostante lo scontro politico e la perenne polemica sui «regali alle banche», in Italia si stanno creando piano piano le condizioni fiscali ed economiche per svalutare i crediti andati a male e per portarli nei bilanci a valori più attinenti alla realtà. Questo potrebbe permettere alle banche di cederli sul mercato a investitori specializzati: solo le tre operazioni annunciate o ventilate ieri (dalla bad bank di Intesa Sanpaolo alle operazioni di UniCredit e Unipol) dimostrano che almeno una piccola parte dei 300 miliardi di crediti deteriorati accumulati nelle banche italiane sta uscendo dalla «ghiacciaia». Briciole, rispetto all'entità del problema. Ma si tratta del primo passo per risolverlo.
Le sofferenze della Penisola
La questione non è tecnica, ma sostanziale. Il problema dei crediti deteriorati non è infatti solo delle banche, ma di tutti. Innanzitutto perché coinvolge una larga parte della popolazione italiana: secondo i dati elaborati da UniCredit credit management bank nella Penisola ben 2,23 milioni di persone giuridiche o fisiche non sono più in grado di rimborsare i crediti alla loro banca. Ma il nodo vero dei crediti deteriorati è un altro: consumano capitale nei bilanci delle banche. E dato che il capitale serve loro per erogare credito, più sofferenze e incagli si accumulano nei bilanci e meno gli istituti potranno finanziare l'economia reale.
Insomma: i crediti deteriorati sono il motivo principale (non certo l'unico) per cui gli istituti hanno chiuso i rubinetti dei finanziamenti a imprese e famiglie. Calcola Alberto Antonietti di Accenture che 100 milioni di crediti deteriorati non garantiti assorbono 12 milioni di euro di capitale (in una banca che usa il modello standard di Basilea): questo riduce di 150 milioni di euro la capacità della banca di erogare credito. Ecco perché risolvere questo problema, per esempio aiutando le banche a vendere questi crediti agli investitori specializzati, è vitale per l'Italia: perché potrebbe favorire la ripresa del credito e dunque dell'economia. Se così fosse – ovviamente solo se così fosse – allora i «regali alle banche» potrebbero diventare regali per la collettività. Diventerebbero «politica industriale».