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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2014 alle ore 06:43.

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LONDRA. Dal nostro corrispondente
Grazie all'aiutino russo Bp limita i danni di un 2013 in prevedibile flessione rispetto ai numeri del 2012. Gli utili dell'anno si sono fermati a quota 13,4 miliardi di dollari contro i 17,1 dell'anno precedente. La contrazione è stata evidente anche nel quarto trimestre: il colosso dell'energia negli ultimi novanta giorni dell'anno ha registrato un guadagno di 2,8 miliardi a fronte dei 3,9 dello stesso periodo del 2012.
I risultati di Bp sono in linea con il settore dell'energia, secondo un trend già messo in scena da Exxon. La deludente performance delle compagnie petrolifere va largamente imputata alla caduta dei margini della raffinazione, anche se nel caso di Bp la dinamica globale va declinata con il radicale riassetto di un gruppo che – dopo aver ceduto 38 miliardi di asset e con la prospettiva di liquidarne altri per ulteriori 10 miliardi entro il 2015 – s'accontenta oggi di una proiezione minore. Il piano di cessioni anche nel 2013 è stato massiccio. «Abbiamo venduto metà delle piattaforme, delle pipeline e numerosi altri impianti», ha detto il ceo Bob Dudley, anche se le riserve sono state solo marginalmente toccate.
Quello appena chiuso, secondo l'amministratore delegato, è stato un anno sugli scudi sul fronte dell'esplorazione: «Il migliore dell'ultimo decennio – ha precisato Dudley – con la partecipazione in 17 progetti». Il risultato si è concretizzato in sette scoperte effettive.
Nonostante la scivolata degli utili dell'anno (il ceo ha precisato che «la performance operativa è stata comunque forte») e dell'ultimo trimestre in particolare – con i profitti underlying nella raffinazione crollati ad appena 70 milioni contro 1,4 miliardi dello scorso anno – Bp ha alzato del 5,6% il dividendo per gli ultimi 90 giorni, riaffermando l'ambizione a essere «società amica degli azionisti».
Nel corso di un altro anno molto movimentato per il gigante dell'energia di Saint James Square, un aiuto significativo è arrivato dalla Russia. La cessione del 50% di Tnk-Bp a Rosneft è avvenuta per contanti e azioni, lasciando al gruppo di Bob Dudley il 20% della società di Stato di Mosca, sbocciata dai resti della Yukos dell'oligarca Mikhail Khodorkovskij. Rosneft grazie all'acquisizione di Tnk ha visto il fatturato schizzare del 52%, registrando un utile netto pari a 11,5 miliardi di euro (+51%). La ricaduta su Bp, nel 2013, è stata di 1,1 miliardi di dollari. Con Rosneft, Bp ha confermato di voler accelerare la cooperazione. «Ci sono piani per avviare joint venture con la società russa per attività on shore – ha precisato il ceo – Quanto all'Artico, saremo presenti solo attraverso la nostra quota nel capitale di Rosneft».
Sui conti di Bp continuano a pesare le conseguenze della tragedia del Golfo del Messico, quando la piattaforma Deepwater Horizon esplose uccidendo 11 persone. Il gruppo ha dovuto accantonare altri 200 milioni di dollari, portando il calcolo finale (per ora) a 42,7 miliardi. Ieri Dudley è stato esplicito nel liquidare alcune richieste di danni come «fasulle», in quanto non correlate all'incidente. Il braccio di ferro con le autorità americane è ancora irrisolto per l'opposizione alla transazione da 9 miliardi di dollari promossa da Bp e per il persistente "niet" alla concessione di contratti governativi americani al colosso di Saint James Square.
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