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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2014 alle ore 06:42.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:58.

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ROMA
Da una parte Enrico Letta, tornato ieri dalla sua missione nel Golfo, che bacchetta «i disfattisti» con un occhio anche al Pd e si dice convinto, sulla base dei fatti, che l'Italia stia uscendo dalla crisi. Dall'altra i renziani doc, come Dario Nardella, che ripetono il mantra del leader Pd sulla necessità un «cambio di passo» e di velocità: «Non possiamo accontentarci di una ripresa macroeconomica che non si traduce nella ripresa del Paese reale. C'è bisogno di ricette più forti e incisive». E ancora. Da una parte Letta che conferma di voler andare alla direzione Pd di domani per rivendicare le cose fatte dal suo governo, sprona i suoi ministri a comunicare meglio e medita anche un tour per l'Italia con tappa in alcune aziende per far risaltare l'opera di salvataggio in corso di Alitalia e tutti i provvedimenti già varati per creare lavoro. Dall'altra Renzi che tiene a bagnomaria il famoso contratto di coalizione "Impegno 2014" a cui Letta lega la Fase 2 perché aspetta il via libera della Camera alla legge elettorale, via libera previsto non prima del 20 febbraio.
La direzione dem di domani, insomma, non si annuncia semplice. E già la decisione di Renzi di togliere dall'ordine del giorno il famoso Jobs act per concentrarsi sulle riforme costituzionali (Titolo V e abolizione del Senato) la dice lunga sulla non urgenza del leader Pd di chiudere il contratto di coalizione: domani si discuterà appunto di riforme, nella direzione del 13 febbraio di Europa e solo il 20 un'altra direzione sarà chiamata a votare quel Jobs act – contratto unico a tutele crescenti, sburocratizzazione e misure per la crescita – senza il quale è impossibile siglare "Impegno 2014". Da parte sua il premier ha concesso al leader Pd tutto il mese di gennaio per portare a casa l'accordo sull'Italicum. Ma ora – è il ragionamento dei suoi – non si può certo aspettare l'approvazione definitiva senza fare nulla. È necessario rilanciare il governo, anche con innesti nuovi nella compagine. «"Impegno 2014" è già stato scritto – si sottolinea da Palazzo Chigi – manca solo l'integrazione con le proposte dei partiti». Appunto. Ma il premier è intenzionato ad andare avanti comunque con il programma votato l'11 dicembre dal Parlamento, ad esempio portando presto in Cdm – appena sarà superato l'ingorgo alla Camera – il pacchetto su criminalità economica, anticorruzione e lotta alla mafia. «La strada è quella giusta – ripete Letta ai suoi – sono determinato ad andare avanti». Domani in direzione, lungi dal lanciare sfide o alzare la voce come non è nel suo stile, Letta vorrà comunque rinsaldare l'asse con il suo partito chiedendo più impegno sul fronte governo.
Passare dalla discussione sulla legge elettorale ai «problemi veri» della gente è la richiesta pervenuta a Renzi anche da parte del vicepremier Angelino Alfano, che ieri lo ha ricevuto al Viminale. Nel colloquio, oltre a legge elettorale e riforme, anche i temi della sicurezza a cui sta lavorando il governo per il pacchetto da presentare in Cdm.
Il vicepremier ha anche sondato Renzi sulla sua disponibilità a «mettere la faccia» nel governo tramite la presenza di ministri renziani. Ma al momento – esclusa comunque l'ipotesi di un Renzi 1 che pure ieri circolava con forza a Montecitorio – di rimpasto Renzi non vuol sentire parlare: «Decide Letta, noi non chiediamo poltrone». In ogni caso per Renzi la questione non deve risolversi con un «rimpasto finto». Ma nessun renziano doc dovrebbe entrare nel governo, al massimo personalità di area o renziani della «seconda generazione»: si fanno i nomi di personalità come Tiziano Treu, Angelo Rughetti o Federica Mogherini. Quanto all'ipotesi che Alfano stesso offra il ministero dell'Interno, magari per una "promozione" del renziano Graziano Delrio, è esclusa con forza da fonti del Viminale.
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