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Questo articolo è stato pubblicato il 10 febbraio 2014 alle ore 10:10.

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Si chiama "NExit" e da un paio di giorni imperversa sui social network. È l'ennesimo neologismo di un'Europa in crisi e sta ad indicare l'uscita (exit) dell'Olanda (Nederland) dall'Unione europea e dall'euro.
A coniarlo è stato Capital Economics, think thank londinese a cui il Partito della libertà (Pvv) dell'euroscettico Geert Wilders ha commissionato uno studio, appunto, sul rapporto costi/benefici di un'uscita olandese dal blocco di cui è uno dei Paesi fondatori ("Nexit. Assessing the economic impact of the Netherlands leaving the European Union").

E il risultato è musica per le orecchie di Wilders: immediati e consistenti vantaggi per le finanze pubbliche e per i redditi delle famiglie (fino a 10mila euro all'anno), rischi e costi contenuti. Il leader del Partito della libertà, in testa nei sondaggi per le prossime Europee, si è affrettato venerdì a convocare una conferenza stampa davanti al Parlamento per capitalizzare la buona novella, altri esponenti politici (e un think tank rivale) hanno contestato i risultati dello studio. Capital Economics è un istituto autorevole, ma è diventato un punto di riferimento per i sostenitori di una rottura dell'Eurozona, da quando nel 2012 ha vinto il Premio Wolfson per l'economia, istituito dall'euroscettico Lord Wolfson e destinato al progetto per la via d'uscita più semplice dall'euro di uno Stato membro.

Ma cosa emerge dalle 160 pagine del rapporto?
Restando nell'Unione europea – spiegano gli economisti di Capital Economics – l'Olanda è destinata a tassi di crescita inferiori a quelli registrati negli ultimi anni e alla media mondiale, uscendone (e automaticamente uscendo dall'euro, come prevedono i Trattati) le autorità olandesi potrebbero prendere una serie di provvedimenti in grado di dare impulso a crescita e competitività:
- ridurre i costi di chi fa business nel Paese di almeno 20 miliardi all'anno, attraverso una rinazionalizzazione delle regole;
- migliorare i conti pubblici, risparmiando sui programmi europei e introducendo politiche migratorie più restrittive rispetto a quelle comunitarie;
- incrementare le esportazioni verso i mercati non europei attraverso accordi commerciali indipendenti con le grandi economie emergenti senza i vincoli della politica commerciale comune. A chi obietta che oggi il 70% dell'export olandese è destinato ad altri Paesi Ue, i curatori dello studio replicano che questi rapporti non sarebbero a rischio perché mantenerli è interesse anche europeo, accentuato dal fatto che l'Olanda ha hub fondamentali come il Porto di Rotterdam o l'aeroporto di Schiphol;
- gestire le fasi cicliche dell'economia in maniera più efficiente grazie alla libertà di fissare politiche monetarie e fiscali indipendenti e specifiche.

Il rapporto non nega che l'uscita dall'euro avrebbe dei costi, ma li definisce modesti e gestibili. A parte una certa volatilità iniziale, non si prevede che il nuovo fiorino subirebbe particolari apprezzamenti o deprezzamenti rispetto all'euro; né si attendono gravi ripercussioni sugli investimenti, sul sistema bancario, sul debito del Paese.
In sintesi: benefici nel breve periodo(per la crisi attuale, dove al momento al malato olandese si danno «prescrizioni adatte a un malato tedesco») e nel lungo termine. Con un uscita dall'euro il 1° gennaio 2015 e relazioni con l'Unione europea simili a quelle della Svizzera (Olanda nell'Efta e accordi bilaterali), il Pil dovrebbe risultare entro il 2035 del 10-13% più alto che restando nel blocco. In 20 anni per le famiglie il beneficio sarebbe addirittura tra i 7.100 e i 9.800 euro di reddito in più all'anno.
In Olanda il numero dei cittadini favorevoli alla Ue è ancora, secondo gli ultimi sondaggi, superiore ai contrari, ma la percentuale si sta assottigliando. Lo studio di Capital Economics per Wilders è senz'altro un'arma in più.

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