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Questo articolo è stato pubblicato il 11 febbraio 2014 alle ore 06:41.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 12:02.

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ROMA
Un incontro a sorpresa, a cena, tra Giorgio Napolitano e Matteo Renzi mentre tutti aspettavano di sapere quando Enrico Letta sarebbe salito al Colle. E invece al Quirinale è andato il segretario del Pd: un faccia a faccia teso, durato due ore, durante il quale sono stati esaminati tutti i possibili scenari della legislatura e del governo Letta. Giorgio Napolitano ha voluto prima vedere il segretario Pd proprio per capire – definitivamente e con chiarezza – cosa ha intenzione di fare il capo del primo partito in Parlamento e, alla luce degli orientamenti, riuscire a trovare la mediazione anche con Enrico Letta. Quello che vuole il Capo dello Stato è noto ed era noto a Renzi: garantire una continuità di governo per approvare le riforme. Ma sul tavolo il Capo dello Stato ha messo anche l'ipotesi di sue dimissioni. Ossia, ha chiarito ancora una volta che l'ipotesi di un voto anticipato senza riforma della legge elettorale è un'opzione che il Quirinale non può accogliere. E sarebbe perfino disposto a dimettersi prima di aver sciolto le Camere e lasciare a questo Parlamento – e a Renzi – l'onere di eleggere un nuovo presidente della Repubblica.
Dunque, se questo è lo scenario estremo – che anche il leader Pd vuole evitare – si è discusso delle altre ipotesi in campo e in particolare di come garantire la stabilità di governo per accompagnare le riforme, la legge elettorale prima di ogni cosa. Si esclude la possibilità di una crisi formale con un Letta bis: è un'opzione che ha i suoi rischi parlamentari ma soprattutto non ha il gradimento di una parte consistente del Pd, come ha avuto modo di dire Renzi. Il quale prima di andare al Colle ha anche prospettato ai suoi un percorso verso le elezioni a ottobre: «Se mi propongono un rimpastino vuol dire che si fissa la data del voto a breve». Quanto all'ipotesi di una staffetta a Palazzo Chigi, di cui pure si è discusso durante la cena al Quirinale, Renzi continua ufficialmente a frenare: «Nessuno di noi ha mai chiesto di prendere il governo – diceva in mattinata – e anche mi chiedo: chi me lo fa fare?». Ma i suoi lasciano la porta aperta: se dovesse essere l'unica soluzione, chiesta da tutti i partiti...
Il leader del Pd conosce bene i rischi di un'operazione del genere, che ricorda la staffetta Prodi-D'Alema nel 1998 ed è malvista dall'elettorato di centrosinistra come dimostrano anche recenti sondaggi, e derubrica l'ipotesi come terzo schema di gioco possibile, anche dopo elezioni anticipate, preferendo che il premier vada avanti come previsto per altri otto mesi. Ma «una svolta è necessaria», ha ripetuto Renzi anche nel faccia a faccia al Quirinale. Ma il punto per il segretario del Pd è che un rilancio dell'azione di governo non si può limitare ad una trattativa dentro la maggioranza sulle caselle: «Letta è il premier e lui deve decidere chi va e chi non va bene: un ministro, due ministri, ma non è una lista della spesa».
Non è ancora chiaro se Letta andrà già questa mattina da Giorgio Napolitano. Quel che è certo è che il Capo dello Stato nel pomeriggio partirà alla volta di Lisbona dove mercoledì parteciperà al Cotec, un summit con il presidente del Portogallo e il re di Spagna, e rientrerà a Roma solo nel tardo pomeriggio di mercoledì. Ad ogni modo tra mercoledì e giovedì, quando il quadro sarà più chiaro anche sul destino della legge elettorale, Letta deciderà insieme al Capo dello Stato il percorso. Oggi va intanto in Aula alla Camera il testo dell'Italicum per un esame contingentato, e si capirà anche da qui se l'intesa stretta da Renzi con Berlusconi reggerà alle forche caudine del voto segreto. Sono in molti nel Pd a temere un affossamento su qualche punto dirimente, anche con lo scopo di costringere Letta alle dimissioni. Perché è chiaro che in questo momento è proprio il premier ad avere maggiore interesse a che l'accordo regga per non precipitare verso una crisi al buio.

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