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Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2014 alle ore 08:17.

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Sempre "sorvegliata speciale" o comunque sotto i riflettori, l'Argentina assurge agli onori delle cronache più di qualsiasi altro Paese latinoamericano. Per meriti e demeriti, spesso difficili da distinguere.
Il peronismo, cangiante e magmatico, così come l'antiamericanismo, viscerale e irreversibile, rendono le analisi impervie e comunque troppo soggettive.
La teatralità della presidenta Cristina Fernandez de Kirchner, l'alternanza di ministri dell'economia, le manifestazioni pro o contro il governo e il gossip che regna sovrano alla Casa Rosada, spingono la stampa internazionale a pubblicare rubriche di "Factbox" o "Claves para entender la politica argentina", sintesi ragionate mirate a ricapitolare le puntate di un'interminabile e avvincente telenovela.
Il Governo di Cristina Fernandez de Kirchner ha comunicato l'altra sera un nuovo indice dei prezzi al consumo. E per la prima volta da dodici anni, ha ammesso l'esistenza del problema. In gennaio l'aumento rispetto a dicembre è stato del 3,7%, che a livello annuale si traduce in un'inflazione superiore al 30 per cento.
«Ecco, questo è un indice verosimile - ha dichiarato Eduardo Levy Yeyati, ex direttore generale della Banca centrale argentina - l'inflazione annunciata ieri è quella vera, pressappoco». L'ironia tagliente di un banchiere centrale, in polemica con il governo, spiega bene il divario tra dati reali e dati falsi.
Non solo gli istituti di ricerche economiche indipendenti, ma qualsiasi massaia, da molti anni a questa parte, constatava aumenti dei prezzi superiori al 25% annuo, ma il governo ha sempre caparbiamente negato i fatti.
Il governo si è improvvisamente ravveduto? Con un "mea culpa" vuole emendare gli errori compiuti?
Non proprio. Secondo gli osservatori più informati vuol blandire, almeno parzialmente, l'odiato Fondo monetario internazionale che da anni chiede maggiore trasparenza all'Indec, l'Istat argentino.
Questo non è un omaggio all'Fmi, bensì un'arguzia politica: la speranza che il Fondo interceda presso il Club di Parigi affinché la negoziazione del debito argentino sia favorevole a Buenos Aires. Insomma «non amiamo l'Fmi, ma abbiamo bisogno di lui», ha dichiarato al Sole 24 Ore un funzionario di governo che chiede l'anonimato.
Dopo un lungo periodo di bonaccia economica (2003-2008) con alti prezzi internazionali delle materie prime agricole, di cui l'Argentina è grande esportatrice, i nodi di una politica economica troppo dirigista sono venuti al pettine: tre settimane fa l'Argentina si è vista costretta a svalutare il peso del 17% rispetto al dollaro e restringere così la forbice tra cambio ufficiale e cambio nero (blu dollar). La Banca centrale non ha avuto altra chance che vendere dollari per cercare di tamponare una crisi sempre più inquietante.
L'apogeo della crisi di tre settimane fa e soprattutto l'instabilità valutaria che ne è all'origine hanno rievocato gli spettri dell'iperinflazione del 1989, oppure i giorni del default, nel dicembre 2001.
La successiva liberalizzazione, almeno parziale, dell'acquisto di dollari, proibita da due anni, ha allentato la tensione. E allontanato l'ipotesi di una caduta del governo o, peggio, quella di un golpe bianco.
Ciò che appare chiaro è la necessità, per il governo di Cristina Fernandez de Kirchner, di metter mano a riforme indifferibili. Meno sussidi, meno consumi popolari ormai impossibili da sostenere. Il modello economico della coppia presidenziale (Nestor Kirchner prima e poi la moglie Cristina Fernandez) poggiava su tre capisaldi: supportare oltre ogni limite i consumi popolari, presentarsi come un governo arcinemico dell'establishment agroindustriale, siglare un patto di ferro con le organizzazioni di diritti umani.
Ebbene, le prime due colonne del modello si sono disgregate e, ancora una volta, sono emersi i limiti di una politica che non ha mai saputo stabilizzare e distribuire la propria ricchezza. Con evidenti similitudini di Paese agroindustriale, l'Australia è il Paese che l'Argentina avrebbe potuto essere. Ma non è.
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