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Questo articolo è stato pubblicato il 16 febbraio 2014 alle ore 08:17.

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Il piano di salvataggio di Alitalia e le denunce alle istituzioni comunitarie di cui è stato oggetto ripropongono una questione che già in passato aveva interessato la compagnia di bandiera. Vale a dire quando la ristrutturazione di un'impresa in difficoltà qualifica un aiuto di stato e a che condizioni il comportamento assunto dal beneficiario può essere contestato da un concorrente, perchè scorretto.
Nel 2004 era stata Airone a sindacare la legittimità dell'iniziativa di Alitalia che, nel manifestare interesse all'acquisto del complesso aziendale del gruppo Volare, avrebbe indebitamente sfruttato – secondo la ricostruzione della ricorrente – i vantaggi concorrenziali del prestito ponte concesso. In quella vicenda, il Tribunale di Roma aveva inizialmente ritenuto che Alitalia, beneficiaria di un aiuto elargito per assicurare il solo funzionamento corrente dell'azienda e non anche il potenziamento della flotta, avesse commesso un atto di concorrenza sleale. Nel convincimento, invece, che l'interessamento di Alitalia fosse di per sè inidoneo a produrre effetti di mercato, era poi intervenuto il giudice del riesame a ribaltare il giudizio e a revocare il provvedimento cautelare emesso. Alla fine, dunque, l'azione della compagnia di bandiera era stata reputata in linea con gli obiettivi perseguiti attraverso l'aiuto.
Negli ultimi mesi è stato il gruppo che controlla British Airways, Iberia e Vueling ad intravedere nel coinvolgimento di una società pubblica nella ristrutturazione della compagnia di bandiera i presupposti di un aiuto incompatibile con la disciplina comunitaria. È degli ultimi giorni, invece, la polemica di Lufthansa che vedrebbe nell'accelerazione delle trattative di Alitalia per un'alleanza strategica con la compagnia di Abu Dhabi, Etihad, i presupposti di un aiuto illegale.
Nell'attesa del responso dell'Unione, ancora una volta il passato impartisce una lezione, fornendo validi spunti per il futuro.
Innanzitutto è scontato che la disciplina sugli aiuti si applica solo agli Stati membri che ricorrano a risorse statali per proteggere e promuovere attività e industrie nazionali.
In secondo luogo, se sussistono le condizioni, l'accesso ad un aiuto – legittimo e compatibile – rappresenta una preziosa ancora a cui possono aggrapparsi le imprese in difficoltà in generale e i campioni nazionali in particolare.
In terzo luogo, il monito che viene dal passato è che al beneficiario di un aiuto, pur erogato nel rispetto della disciplina comunitaria, non tutto è consentito.
Al contrario, questi deve sempre e comunque conformare le proprie scelte di e sul mercato al canone della correttezza professionale.
Il rispetto della procedura richiesta in materia di aiuti, infatti, non implica alcuna valutazione nel merito, né garantisce la corrispondenza della condotta assunta alle norme in materia di concorrenza. D'altra parte, nelle more del giudizio sulla compatibilità della misura con la disciplina comunitaria, il giudice nazionale mantiene la facoltà di adottare, se richiesto, i provvedimenti cautelari più opportuni. In ogni caso, la decisione della Commissione Europea sulla conformità dell'aiuto deve essere tenuta in dovuta considerazione a livello nazionale.
In concreto, questo significa che per mettersi al riparo da eventuali censure e lamentele da parte di concorrenti, l'impresa beneficiaria di un aiuto di stato deve costantemente sorvegliare il proprio comportamento, evitando di sfruttare il vantaggio concorrenziale conseguito oltre la finalità per la quale e/o il tempo nei limiti del quale la misura è concessa. Non solo. Deve prestare specifica attenzione a dettagli e sfumature, utilizzando l'aiuto con modalità strettamente necessarie e sufficienti a conseguire il risultato per cui è stato autorizzato, senza mai sconfinare in azioni esorbitanti, eccessive e sproporzionate, che risulterebbero ingiustifcabili e come tali censurabili anche dai concorrenti.
Professore associato di diritto dell'economia, Università
Europea di Roma di Valeria Falce

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