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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2014 alle ore 09:26.
L'ultima modifica è del 18 febbraio 2014 alle ore 11:47.

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Walter Bonatti (Olycom)Walter Bonatti (Olycom)

A inizio 1965 Walter Bonatti era, a tutti gli effetti, un ex alpinista: aveva deciso di chiudere con le grandi scalate, come sempre coerente con le sue decisioni. Tutto quello che si poteva fare Bonatti l'aveva fatto, usando gli stessi strumenti tecnici dei grandi alpinisti che lo avevano preceduto. L'unico modo, diceva lui, per misurarsi direttamente con loro, per capire se davvero fosse in grado di passare dove gli altri si erano fermati. Era passato, sempre, e aveva chiuso: con le scalate possibili e impossibili.

Ma proprio quell'anno cadeva il centesimo anniversario della prima salita del Cervino, vinto dal gruppo del grande Edward Wimper che riuscì nell'impresa a caro prezzo: quattro suoi compagni finirono per sempre nell'abisso della parete Nord. Wimper li avrebbe pianti tutta la vita.

Bonatti pensa a Wimper e ai suoi compagni, pensa che un'ultima scalata per rendere loro omaggio sia ancora possibile: al Cervino, ovviamente. E alla parete Nord, ovviamente. E d'inverno, ovviamente. Parte con due compagni, Gigi Panei e Alberto Tassotti, a inizio gennaio. Tre giorni di scalata e arrivano appena dopo la Traversata degli Angeli, passaggio chiave della parete. La montagna reagisce, feroce come sempre: li blocca nei sacchi imbottiti con raffiche di vento a cento all'ora e le scaglie di neve gelata che tagliano come lame di coltello. I sacchi non reggono, i tre compagni restano disperatamente attaccati alla parete per una notte intera. Non resta che la fuga, la discesa verso valle, la rinuncia.

Si danno appuntamento per febbraio, ma Panei e Tassotti hanno altri impegni, non possono accompagnare Bonatti. Che a quel punto concepisce un nuovo progetto, folle per tutti ma non per lui che sulle montagne ha scritto pagine da leggenda.

Parte il 18 febbraio, puntando a salire da solo, in pieno inverno e per direttissima la terribile parete Nord. Lo fa in segreto, informando solo tre amici che lo accompagnano fingendo un banalissimo giro con gli sci. Arrivano ai piedi della Nord, dove il sole lascia spazio alle gelide ombre che la avvolgono. Lo salutano e Bonatti resta solo. D'ora in avanti per procedere bisogna essere Bonatti. Pazzi come Bonatti, forti come Bonatti, uomini come Bonatti.

Il primo bivacco è sotto la parete, su un terrazzino ricavato spianando la neve. Bonatti confesserà di aver sperato nel maltempo, in una tormenta che lo costringesse a tornare indietro, tanto era l'immensità e la solitudine della montagna sopra di lui. Ma la montagna questa volta non lo respinge, anzi lo attira come a voler mostrare il suo lato debole, a invitarlo a raggiungere la vetta.

Il freddo all'alba è di quelli che non ci puoi resistere, ma bisogna muoversi: picchiare il primo chiodo, assicurare lo zaino e poi salire per un tiro di corda. Fissare la corda a un altro chiodo, calarsi fino allo zaino, caricarlo in spalla e poi salire di nuovo. Una tecnica che Bonatti conosce bene, che ha già sperimentato in altre occasioni: una tecnica che lo costringerà, per arrivare in vetta, a scalare la Nord due volte in salita e una in discesa. Il secondo bivacco è in piena parete, ancorato a uno spuntone roccioso raggiunto quando la notte è ormai calata a spegnere anche le ultime ombre. La montagna reagisce, scatena una tormenta che però colpisce solo sul versante italiano: Bonatti sente il vento che spazza le rocce, ma quando spunta il giorno sulla Nord del Cervino splende il sole.

Via, di nuovo, attaccando la parete fino alla Traversata degli Angeli: questa si, ricoperta di neve. Uno strato sottile, infido, scivoloso: centoventi metri di salita obliqua da ripulire passo dopo passo. Avanti e indietro: salita, discesa, recupero dello zaino e di nuovo salita. Fino a un nuovo bivacco, nello stesso posto dove il Cervino l'aveva bloccato, appena un mese prima, insieme a Panei e Tassotti. Bonatti lancia due razzi di segnalazione, uno bianco e uno verde. Dalla valle gli amici sapranno che ha deciso di continuare, di proseguire oltre le rocce sovrastanti che segnano un punto di non ritorno: unica via di uscita, la vetta.

Alla mattina il peso dello zaino diventa insopportabile: via il formaggio, la marmellata, i biscotti, la pancetta e le bombolette del gas, via tutto quello che pesa e di cui si può fare a meno. Passate le rocce del non ritorno Bonatti affronta una muraglia verticale che indica come una freccia la salita alla vetta: una muraglia che supera con fatiche immani, combattendo contro la solitudine, il gelo, i pensieri che portano lontano, in altri luoghi, quando invece sarebbe indispensabile essere concentrari sulle rocce, sugli strapiombi, sulla Nord del Cervino. Passata la muraglia, alle quattro di pomeriggio, ecco inattesa una zona di rocce lisce e ghiacciate: devono essere superate in sole due ore, perché restare lì in piena notte significherebbe la morte. Le mani sanguinano, il freddo le attanaglia, ma è indispensabile proseguire senza guanti per avere il massimo della sensibilità a contatto con la roccia gelata e tagliente.

Di nuovo un bivacco, appena in tempo prima che cali la notte. Il quarto da inizio scalata, il terzo in parete. Viveri e bevande sono in gran parte laggiù, in fondo alla Nord, gettate nel vuoto per togliere peso allo zaino. Bonatti capisce che questo bivacco deve anche essere l'ultimo, per forza, a qualsiasi costo: un'altra sosta in parete sarebbe fatale. Il termometro segna trenta gradi sotto zero e il bivacco consiste in un terrazzino di trenta centimetri sul quale stare seduto con la schiena appoggiata alla roccia. Senza dormire, ancora una volta. Il sonno diventerebbe morte. Di nuovo qualche segnale luminoso agli amici, a fondo valle, per far capire che è vivo, che è sempre più in alto.

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