Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2014 alle ore 16:48.
L'ultima modifica è del 21 febbraio 2014 alle ore 17:06.

My24
(Corbis)(Corbis)

Ero arrivata a Leopoli una mattina di settembre, due anni fa. Venivo dalla provincia, precisamente da Drohobycz, la minuscola cittadina in cui nacque, visse e morì lo scrittore e disegnatore Bruno Schulz. Si era appena concluso il festival per celebrarlo e, dal finestrino della macchina a noleggio, i grandi campi di girasoli cui Schulz ha dedicato una delle sue pagine più belle lasciavano posto a un paesaggio sempre più urbanizzato. Infine, la piccola metropoli con la sua grande piazza centrale.

Le proporzioni architettoniche di Leopoli sono altere ed eleganti. La via dei negozi ospita le principali marche europee di abbigliamento low cost ma addentrandosi nelle stradine laterali ci si può ritrovare, se non proprio in mezzo alle botteghe color cannella di schulziana memoria (scomparse, fra l'altro, anche in provincia), almeno fra pasticcerie e bar dagli odori artigianali e dalle inconfondibili vetrine post-asburgiche dove vale la pena fermarsi per un tè: i dolci ucraini non hanno niente da invidiare a quelli austriaci. «Leopoli è una città vivace, adatta ai giovani», sottolineavano gli amici polacchi con cui avevo condiviso il viaggio, tradendo nostalgia e orgoglio per quella che un tempo era una delle loro capitali. Certo, era tutto molto diverso dai piccoli centri di Drohobycz e Truskavetz, la cittadina delle terme, quella sì ancora intatta dai tempi di Schulz. A Leopoli non ci sono anziane con il fazzoletto in testa che parlano russo sedute ai bordi del mercato, venute a vendere frutta selvatica in grandi bicchieri di plastica. A Leopoli la povertà somiglia a quella di tutte le città: non si vede, almeno in centro.

La terra che oggi chiamiamo Ucraina ha una storia tutt'altro che univoca. Pesa la forte identità culturale di una regione sopra tutte: la Galizia, patria, oltre a Schulz, di scrittori come Joseph Roth e filosofi come Martin Buber. Il Regno di Galizia e Lodomeria era il fiore all'occhiello tra le province dell'impero asburgico, la più popolosa e sicuramente una delle più fertili in termini di produzione artistica e letteraria. La Galizia fu poi annessa alla Polonia, quindi sovietizzata e infine germanizzata e fu sempre terreno di invasione e scontri fra i diversi gruppi etnici e linguistici che l'hanno abitata.

Nel periodo tedesco, in cui le fu imposto il nome di Distrikt Galizien, gli ebrei se la passarono ancor peggio che in passato. Oggi questa terra in cui si parlò ungherese, polacco, tedesco, russo ed ebraico è smembrata e, sebbene sia viva sulle carte geografiche letterarie, su quelle politiche non esiste più. La decisione di imporre il russo come seconda lingua ha fatto esplodere una polveriera di rancore, di convivenze mal sopportate.

«Ah, Leopoli. È il posto giusto dove trascorrere un bel weekend venendo in autobus anche da Cracovia. Sai, noi in Polonia la chiamiamo "la piccola Parigi"», continua il mio amico. «Ti stai confondendo, semmai "la piccola Vienna"!», lo corregge la moglie. Scopro in seguito che avevano ragione entrambi, e al tramonto capisco perché. L'ora del tè lascia il posto all'aperitivo e le tazze in porcellana a bicchieroni colorati riempiti di cocktail alla moda; arriva un'invasione di bionde belle e glamour, di ragazzi in felpa che buttano in un angolo custodie di strumenti musicali per fermarsi a ordinare da bere. Sembra che tutti suonino, in città. Anche più tardi, nel dopocena, ci sono sempre un violinista o una cantante che allietano gli astanti tenendosi alla giusta distanza dal tavolo (Parigi, Vienna: imparate da Leopoli la discrezione!).

Leopoli è una città complicata a partire dal nome. I polacchi la chiamavano L'viv, i russi L'vov («Non chiamarla mai così, si arrabbiano moltissimo!», mi avvertono i miei amici, ovviamente di parte), i tedeschi Lemberg, gli ebrei Lemberick. Leopolis, il nome latino, forse riesce a mettere d'accordo tutti. Forse. Perché il guazzabuglio di rivendicazioni non è semplicissimo da districare. In questi giorni sono stati occupati i centri del potere politico della città, e chissà cosa accade nei due luoghi che ne costituiscono il cuore culturale e sociale: l'antico e prestigioso Politecnico nato nel 1844, dove studiò lo stesso Schulz, e il magnifico e molto attivo Teatro dell'Opera (nella foto). Chissà se ancora una volta questa terra saprà rialzarsi.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi