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Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2014 alle ore 06:43.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 12:12.

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Il Senato tra mille fibrillazioni, compresa una mini-spaccatura nella maggioranza, licenzia il Dl Enti locali con le norme che mettono al sicuro i conti di Roma che potrà così scontare 485 milioni dal debito. A patto però che la Capitale si impegni in un piano di rientro triennale che potrà prevedere anche la dismissione delle società partecipate, con l'esclusione però di quelle che svolgono «attività di servizio pubblico» e di quelle quotate, a cominciare da Acea. Una decisione condannata da Scelta civica che ieri ha deciso di astenersi (a Palazzo Madama equivale a votare contro). Il Dl ora passa alla Camera dove i tempi sono strettissimi: va convertito entro il 28 febbraio. E per il premier incaricato Renzi, una volta incassata la fiducia delle Camere, potrebbe essere questa una delle prime grane da risolvere.

Tra l'altro il testo licenziato dalla commissione Bilancio in mattinata e arrivato subito dopo in aula è stato anche "cassato", tra molte polemiche, dal presidente del Senato Pietro Grasso che ha bocciato 15 dei 26 emendamenti approvati, perché giudicati «estranei» alla materia del decreto. Un blitz con cui Grasso mette così in pratica quanto minacciato in una lettera a fine dicembre subito dopo l'intervento dello stesso Capo dello stato che aveva convinto il Governo a far decadere il primo Dl Salva Roma al quale erano stati aggiunti ben 10 articoli sugli argomenti più disparati. Le norme cassate – dagli interventi sui Comuni in dissesto a quelle sul terremoto in Emilia o per il post alluvione in Sardegna fino alle misure d'emergenza per le pulizie nelle scuole – dovrebbero essere recuperate in un Ddl che il Pd presenterà oggi in Senato chiedendo la sede deliberante per accorciare i tempi.

Oltre a salvare i conti di Roma il decreto – grazie a un emendamento di Giorgio Santini (Pd) e alla mediazione del Governo – prevede che il Campidoglio metta a punto entro 60 giorni un piano triennale di rientro dal debito con misure che prevedono anche «la dismissione o la messa in liquidazione delle società partecipate che non risultino avere come fine sociale attività di servizio pubblico», ma solo «ove necessario per perseguire il riequilibrio finanziario del Comune». E che poi non siano quotate in borsa (come Acea). Bocciato, dunque, l'emendamento di Linda Lanzillotta (Sc) – che ieri ha denunciato la pressione dei «partiti romani» -, con il quale si dava la possibilità al Comune di Roma di vendere quote di Acea, scendendo così sotto il 51%. Ma anche di privatizzare i trasporti, la raccolta dei rifiuti e la pulizia delle strade, licenziare i dipendenti delle società comunali in perdita e di mettere in liquidazione le aziende che non erogano servizi pubblici. Alla fine dunque tra le partecipate potrebbero finire nel mirino società come Zetema, Risorse per Roma ed Aequa Roma. L'emendamento approvato comunque apre timidamente anche a forme di liberalizzazione con «modelli innovativi» per trasporti e rifiuti.

Tra le novità approvate ieri da Palazzo Madama c'è anche la proroga di un mese (fino al 31 marzo) della possibilità di "rottamare" senza interessi le cartelle Equitalia. Si accorciano poi i tempi per poter regolarizzare il personale precario delle Regioni: il termine viene anticipato di due mesi, passando dal primo luglio al 30 aprile. Infine viene reintrodotto il Comitato di ministri presieduto dal presidente del Consiglio per «la definizione e il coordinamento temporale dei programmi di dismissione di partecipazioni» nelle società pubbliche.

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