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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2014 alle ore 12:31.
L'ultima modifica è del 22 febbraio 2014 alle ore 16:19.

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La strada è già tracciata e ha già dato i primi frutti. Una sperimentazione sul fronte dei beni sottratti alle mafie che è stata avviata a Milano e che presto diventerà operativa anche a Roma. Una strada che prevede una stretta collaborazione in fase di gestione dei beni sequestrati con le maggiori associazioni imprenditoriali a partire da Confindustria oltre che, ovviamente, con altri soggetti istituzionali e non solo.

Ed è un percorso possibile e auspicabile in attesa che vengano fatte le modifiche all'attuale legislazione antimafia, materializzata nel cosiddetto Codice antimafia, che partono da un presupposto fondamentale: salvaguardare le imprese che hanno la possibilità di stare sul mercato coinvolgendo chi nelle aziende ha speso e spende la propria esistenza, eliminare dal mercato quelle che avevano ragion d'essere solo grazie all'intervento della mafia, anzi delle mafie. Il presupposto ormai è chiaro: bisogna superare la logica fallimentaristica che sta alla base del codice e utilizzare un approccio multidisciplinare (giudiziario ma anche economico) per affrontare questo problema.

Un punto, questo, che è stato ampiamente approfondito nel corso del convegno su "Gestione dei beni sottratti alle mafie e riforma dei mercati" che si è tenuto nei locali di Confindustria Sicilia a Palermo su iniziativa tra gli altri dei Giovani di Confindustria Palermo rappresentati da Ugo Tutone. E sono indicazioni puntuali quelle venute fuori da questo incontro che ha messo insieme presidenti delle sezioni misure di prevenzione (c'era Giuliana Merola di Milano, Silvana Saguto di Palermo, Guglielmo Muntoni di Roma) che potranno essere utili anche alla Commissione parlamentare antimafia guidata da Rosi Bindi che sarà a Palermo nei prossimi giorni.

Sono emerse le storie positive nella gestione dei beni sequestrati con un ruolo delle sezioni misure di prevenzione sempre più protagoniste di iniziative di efficienza e razionalizzazione del sistema con un obiettivo chiaro: il ripristino della legalità e dunque delle vere regole di mercato. Senza nascondere, ovviamente, le criticità che ci sono e sono di varia natura. Per superare le quali a Milano è nato il Tavolo per la giustizia il cui ultimo protocollo, firmato anche con il mondo bancario, ha avuto una gestazione complessa anche per le resistenze da parte degli istituti di credito: «Un protocollo faticoso - spiega Giuliana Merola - ma che garantisce risultati concreti: l'accordo con Assolombarda e Confcommercio per esempio garantisce un intervento sull'efficienza delle imprese sequestrate: lo hanno fornito 63 professionalità che possono essere utilizzate come ausilio nella gestione». un intervento fondamentale in quella che l'economista Carmelo Provenzano, tra i promotori del convegno, chiama la «sopravvivenza darwiniana delle imprese tolte alla mafia» perché, sostiene «l'efficacia dell'amministrazione giudiziaria dipende dal metodo non dal titolo o dal curriculum di chi svolge il lavoro».

E va tenuto in giusto rilievo che l'obiettivo, come dicono i magistrati e non solo, è quello del ripristino delle regole:a la legalità come asset principale da cui dipendono tutti gli altri, compresi i posti di lavoro a volte creati con il solo scopo di garantire alle mafie consenso sociale. Un tema centrale nell'intervento di Silvana Saguto, presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo che continua a denunciare da tempo il clima pesante che si è venuto a creare con intimidazioni costanti e pericolose agli amministratori giudiziari e un certo tipo di cultura che attacca chi fa antimafia con refrain vecchio e già utilizzato anche il giudice istruttore Rocco Chinnici e tanti altri magistrati poi ammazzati da Cosa nostra: «C'è stato persino un avvocato che ci ha accusati di rovinare l'economia palermitana – racconta Silvana Saguto -. Noi che facciamo i sequestri saremmo dunque colpevoli di rovinare l'economia.

Io non mi spiego le polemiche per esempio del sindacato che arriva nelle aziende solo dopo il sequestro perché prima con i mafiosi non c'era e a volte ha creato problemi all'amministratore giudiziario. E spesso non si capisce che la priorità non è l'occupazione ma la legalità: non capisco l'atteggiamento del sindacato che ci accusa di voler buttare fuori i lavoratori. Ma non si capisce che a volte i lavoratori sono lì per i rapporti che avevano con il mafioso o il suo prestanome?». Non c'è solo questo ovviamente a rendere pesante l'intera gestione dei beni tolti alla mafia: «C'è poi il caso della banca che ha chiuso le linee di credito all'azienda sequestrata ma le ha aperte al prestanome cui noi avevamo tolto quell'azienda che nel frattempo aveva creato un clone. Abbiamo chiesto un appuntamento all'Inps per risolvere l'annosa questione del Durc: molte aziende sequestrate non hanno pagato i contributi e dunque non possono partecipare alle gare perché non hanno il Durc.

Avremmo bisogno di una moratoria per il passato e di ripristinare il Durc per poter cominciare a lavorare visto che ora le aziende sequestrate pagano tutti gli stipendi e anche i contributi finché possono. Alla richiesta di appuntamento però finora non ha risposto nessuno. Le notizie positive non mancano: con il Comune di Palermo abbiamo siglato un protocollo che consente di sospendere il pagamento degli oneri locali e si tratta di cifre spesso notevoli». Palermo ovviamente non è Milano e da queste parti c'è un lavoro enorme ancora da fare in cui le istituzioni locali e non solo potrebbero avere un ruolo fondamentale.

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