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Questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2014 alle ore 17:56.
L'ultima modifica è del 25 febbraio 2014 alle ore 18:26.

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C'è qualche cosa di grandioso e di tragico nella parabola discendente del primo ministro Tayyip Erdogan che da ragazzo per sopravvivere vendeva ciambelle e limonate a Kasimpasa, quartiere popolare di Istanbul, e ora a quanto pare discute di milioni di euro in contanti nelle telefonate, intercettate e diffuse dai social media, con il figlio Bilal. Eppure questa Turchia che si avvicina in piena tempesta politica alle elezioni municipali del 30 marzo rimane, nonostante la crisi valutaria, uno dei mercati emergenti più caldi, con la Sace che ha allo studio una serie di progetti per un valore complessivo di un miliardo di euro per il sostegno all'export e agli investimenti italiani sul Bosforo.

Erdogan, che dopo l'esplosione della Tangentopoli turca nel dicembre scorso aveva dovuto silurare tre ministri i cui figli erano stati arrestati dalla magistratura, si difende come un leone ferito. «È tutta una montatura, hanno pubblicato un file falsificato: è un attacco vile, si è superato il limite della morale della decenza». In una delle telefonate il figlio Bilal afferma che ci sono 30 milioni di euro da far sparire. La voce attribuita a Erdogan, che appare di tono sorprendentemente basso e quasi esitante rispetto a quello usuale del premier, avverte il figlio che le linee potrebbero essere controllate e di non fornire dettagli. L'aspetto interessante della vicenda è che né il primo ministro né il suo partito negano che la voce sia quella di Erdogan ma che il contenuto delle conversazioni è il risultato di un montaggio costruito ad arte.

La guerra delle intercettazioni è appena cominciata. I giornali turchi hanno rivelato che sono state ascoltate le conversazioni di migliaia di uomini politici, d'affari e giornalisti: tutte in attesa si essere rivelate su Internet. Dalla rivolta di Gezi Park nel giugno scorso la rete è diventata la bestia nera di Erdogan che sta facendo approvare una legge che mette il web sotto controllo di un'authority di fatto guidata dai servizi. Il presidente Abdullah Gul ha approvato il disegno legge apportando alcune modifiche e ora si è in attesa che il Parlamento, dove l'Akp ha la maggioranza assoluta, vari anche un altro decreto, questa volta mirato a "blindare" la carica del capo dei servizi segreti Hakan Fidan, un fedelissimo di Erdogan, che forse in questo momento è il vero numero due della Turchia. Ieri Erdogan ha tenuto una sorta di consiglio di guerra con Fidan, anche lui tra l'altro intercettato dalla polizia e dalla magistratura.

La seconda bestia nera di Erdogan è Fethullah Gulen, l'imam in esilio negli Stati Uniti, capo della confraternita Cemaat, che secondo Erdogan ha infiltrato i vertici della sicurezza e della magistratura lanciando una campagna contro il primo ministro. Erdogan accusa Gulen di capeggiare dall'estero una sorta di "stato parallelo" che vuole disarcionare lui e l'Akp dopo 12 anni alla guida della Turchia.

La realtà è che Erdogan ha lasciato che la corruzione dilagasse tra la nuova classe politica e affaristica del Paese, inquinando anche la cerchia famigliare. Certamente è vero che il primo ministro e il partito musulmano Akp, saliti al potere nel 2002, hanno rappresentato un decennio di stabilità e innescato la maggiore crescita economica e sociale di un Paese islamico senza gas e petrolio. Ma questa parabola vincente si è smorzata all'improvviso con le manifestazioni del giugno scorso di Gezi Park, pagate non soltanto in termini di pesante repressione dei manifestanti ma anche di sfiducia da parte dei mercati sul futuro della Turchia e sui conti del Paese che non appaiono così brillanti come in passato.

Erdogan, sanguigno e determinato, conservatore nei costumi ma liberale in economia, aspirava fino a poco tempo fa a diventare la guida di un nuovo Medio Oriente e a cambiare lo Stato laico ereditato da Ataturk, adesso lotta per restare in sella e potrebbe avere rinunciato al progetto di presentarsi candidato in agosto alle presidenziali, le prime con il voto popolare diretto. Molto dipenderà dal risultato delle muncipali dove sono in gioco i sindaci di città chiave come Istanbul e Ankara. Il premier, che con si confida più con nessuno, neppure con il suo vice Ali Babacan, è un uomo provato: non solo dagli scandali, anche da una salute malferma, da un male sottile che lo rende ormai diffidente nei confronti persino dei più stretti collaboratori.

Ma la Turchia, nonostante Erdogan e gli scandali, si mantiene a galla: la crescita quest'anno non avrà ritmi alla cinese ma sarà pur sempre intorno al 3,5%, la più alta in Europa e il Paese riscuote ancora grande interesse per il suo dinamismo, come dimostra la Sace che oggi conta in Turchia su un portafoglio di impegni pari a 1,9 miliardi di euro, concentrato nei settori dell'energia, delle infrastrutture e delle tecnologie industriali. E l'annuncio della nuova pipeline finanziaria da un miliardo di euro è stata organizzata davanti a 200 uomini d'affari e banchieri a Eataly, allo Zorlu Center. Un altro mega-polo commerciale e del lusso che a quanto pare è entrato nel mirino della magistratura: nella fretta di realizzarlo qualcuno si è "dimenticato" dei permessi edilizi. Sono cose che accadono nell'affluente e ribollente Turchia di Erdogan.

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