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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2014 alle ore 06:41.

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Ugo
Tramballi Henry Kissinger e tutti i cremlinologi della vecchia scuola sostenevano che l'Unione Sovietica non sarebbe sopravvissuta senza l'Ucraina. E se l'Ucraina se ne fosse andata, in Europa sarebbe fatalmente scoppiata la terza guerra mondiale. Nel tentativo di salvare Mikhail Gorbaciov, l'allora presidente George Bush padre andò a Kiev a implorare i separatisti a recedere dai loro propositi, senza riuscirci.
I leader di allora ebbero ragione e torto. A negare all'Urss ogni speranza di sopravvivenza non furono le repubbliche baltiche, e nemmeno la Georgia nel Caucaso, ma l'uscita dell'Ucraina nel 1990. Tuttavia, nonostante una minoranza di nove milioni di russi e l'imponente base navale in Crimea, non scoppiò nessuna guerra continentale. Né ci furono pulizie etniche locali. Dopo aver conquistato mezzo mondo e sfidato l'altra metà, l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche si scioglieva in pace. Le eccezioni sanguinose del Nagorno-Karabakh e della Cecenia furono nulla rispetto alla potenzialità distruttiva della fine del grande impero.
Il rischio di secessione delle province filo-russe e le immagini dei blindati a Sebastopoli sembrano far tornare la Storia a quel punto: alla guerra che in 25 anni non ci fu e che oggi potrebbe scoppiare. Ma il vero problema non è quel passato ormai lontano né la secessione. La Crimea in cui il 60% degli abitanti è russo può anche tornare alla sua repubblica originale. C'è legittimità nella rivendicazione: fu il Soviet Supremo di Mosca il 19 febbraio 1954 a trasformare la Crimea da oblast russo a provincia ucraina, spostando frontiere che 60 anni fa non avevano importanza.
Il punto non è questo ma la credibilità della Russia di Putin di essere "sexy": di sapersi proporre come esempio, forza d'attrazione per tutte le repubbliche ex sovietiche che dovrebbero ricostituirsi sotto la sua ala benefica: non più uno zar, né un segretario generale del Partito ma una specie di "imperatore patronale". La crisi ucraina rappresenta la fine o almeno la grave crisi dello spazio post-sovietico che ha in mente Putin. La disgregazione alla fine della Guerra fredda era ineluttabile: è ciò che Putin vuole costruire al suo posto a essere fallimentare.
Del rapporto fra Vladimir Putin e il passato in cui è nato e in qualche modo vuole tornare con qualche importante accorgimento, esistono due frasi rivelatrici: «Il collasso dell'Unione Sovietica è stato la più grande tragedia del XX secolo», e «Chi vuole restaurare il comunismo è senza cervello, chi non lo rimpiange è senza cuore». Non occorre Freud per scoprire che il suo modello è l'autocrazia spurgata dal marxismo-leninismo o, come la chiamano i suoi, la "managed democracy". Difficile che a XXI secolo iniziato da un pezzo, i popoli un tempo apparentemente felici di guardare al faro moscovita e ora dotati di Internet siano attratti da quel modello revisionato ma non cambiato. I loro dittatori, i loro oligarchi, i capi delle loro polizie, sì. Non i popoli.
Comunque finiscano le cose a Kiev, dove perfino la Chiesa ortodossa che crede agli stessi Cirillo e Metodio si è separata dal patriarcato di Mosca, accadrà prima o poi altrove. In Bielorussia, nelle repubbliche asiatiche quando nel mondo ci sarà troppo petrolio perché possa essere l'unica ricchezza di una nazione. Un giorno accadrà anche a Mosca e San Pietroburgo. La democrazia è un processo molto lento e imperfetto ma il più delle volte inesorabile.
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