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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2014 alle ore 11:00.
L'ultima modifica è del 01 marzo 2014 alle ore 15:33.

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ROMA - Non è la scossa che molti auspicavano per la selva delle partecipate di Roma Capitale, ma un primo colpo il Governo Renzi lo ha battuto e, rispetto all'immobilismo del passato, segna comunque un'inversione di rotta. Nel predisporre il «piano di rientro», il comune di Roma dovrà applicare i criteri dettati dal Governo: spending review basata più sul «metodo Cottarelli» e sul «metodo Consip» che non sulla «centrale unica di acquisto» all'acqua di rose varata dal Campidoglio; passaggio ai raggi X dei reali fabbisogni di personale delle società partecipate; modelli innovativi e gare per la liberalizzazione della gestione dei servizi di trasporto pubblico locale e di raccolta dei rifiuti; dismissione delle società partecipate «minori» che non svolgano attività di servizio pubblico; valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare del comune.

Che impatto reale potranno avere queste misure sulle società? L'unica azienda che al momento sembra esclusa totalmente dall'applicazione di questi criteri è Acea (7.257 dipendenti, 3,62 miliardi di fatturato) che con l'assegno del dividendo anticipato da circa 27 milioni staccato a Natale al Comune di Roma, anche nel 2013 ha salvato le casse capitoline.

Non c'è traccia, nelle norme varate ieri dall'esecutivo, dell'emendamento Lanzillotta che aveva chiesto la vendita di una quota di minoranza di Acea per abbattere il debito comunale. La disciplina non esclude, però, che si possa andare nella direzione della vendita di ulteriori quote della società. I piani di rientro dovranno centrare il risultato e la dismissione di partecipazioni può contribuire a ritrovare l'equilibrio del conto economico e una riduzione dell'indebitamento.

Il nuovo decreto mira in modo diretto ed esplicito, invece, alle altre due società di maggiori dimensioni del Campidoglio, Atac e Ama. Anzitutto perché sono queste le società delle assunzioni facili dell'era Alemanno cui certamente si rivolge «la ricognizione dei fabbisogni di personale» (senza ovviamente escludere le altre). Basti pensare al debito da un miliardo e 600mila euro di Atac, la società di trasporti capitolini (11.800 dipendenti, 270 milioni di indebitamento finanziario, 864 milioni di fatturato). Riferimento diretto alle due municipalizzate quando si parla di prevedere nel piano di rientro la cura a base di «liberalizzazione» che tocca proprio «la gestione dei servizi di trasporto pubblico locale, di raccolta dei rifiuti e di spazzamento delle strade».

Quanto alle dismissioni vere e proprie, riguarderanno «società partecipate che non risultino avere come fine sociale attività di servizio pubblico». Teoricamente ci sarebbe dentro anche l'Auditorium che è però l'altro gioiello del Campidoglio insieme ad Acea. L'Auditorium Parco della Musica ha infatti chiuso il 2012 in positivo, mentre a rischio potrebbero essere Zètema (in sostanziale pareggio il preconsuntivo 2013)e Risorse per Roma.

Per non parlare di Farmacap, l'azienda capitolina che raggruppa le farmacie comunali (362 dipendenti): a un debito pregresso di 15 milioni va ad aggiungersene un altro da circa 20. In questa «giungla» di partecipazioni, quello messo in campo dal governo è uno strumento che sarà comunque utile al sindaco per razionalizzarle in una holding unica. Progetto annunciato ma non ancora definitivamente decollato su cui Marino ha promesso di lavorare. In primis perché la riorganizzazione garantirebbe alle casse del Campidoglio non pochi benefici fiscali.

Infine c'è da capire che tratti assumerà la spending review e quanto gli strumenti governativi – la task force del commissario Carlo Cottarelli e la Consip - saranno messi in campo per controllare e rafforzare la centrale unica varata dal Campidoglio. Certamente ci saranno dei «vincoli» sulla spesa, ma è ancora impossibile dire quanto saranno penetranti.

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