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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2014 alle ore 08:16.

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Un'escalation che non si arresta. In tarda serata, al termine di una giornata convulsa e ad altissima tensione, il premier ucraino Yatsenyuk e il suo rappresentante alle Nazioni Unite hanno lanciato un appello disperato, chiamando in causa anche la Nato, oltre all'Onu e alla Ue, per tutelare l'inviolabilità del proprio territorio. Il segretario generale della Nato, Rasmussen, ha convocato per oggi un vertice straordinario. Se Mosca dovesse intervenire, ha detto il primo ministro, allora sarà la guerra, mentre una fonte militare ha segnalato l'avvistamento di due navi russe anti-sottomarino al largo del porto di Sebastopoli. L'esercito è in stato d'allerta.
Putin e Obama hanno avuto un lungo colloquio telefonico e il presidente russo avrebbe detto al presidente americano che Mosca si riserva il diritto «di tutelare i propri interessi». Il leader americano ha invece invitato Mosca a far rientrare le truppe nelle basi, e ha annunciato che gli Usa sospenderanno la partecipazione agli incontri preparatori del G8 a Sochi.
"Putin ha dichiarato guerra all'Ucraina", titolava il giornale online Ukrainskaja Pravda, aggiungendo all'articolo l'immagine del tabellone con i voti del Consiglio della Federazione, la Camera alta del Parlamento russo che all'unanimità, 87 a 0, aveva appena accolto la richiesta del presidente: utilizzare in Ucraina (non solo in Crimea, ndr) le forze russe «fino alla normalizzazione della situazione politica nel Paese». Con gli uomini di Mosca già in azione in Crimea, la portata delle intenzioni di Putin è rinchiusa nel significato che il leader russo dà alla parola «normalizzazione». Per il momento, ha precisato ieri pomeriggio il suo portavoce Dmitrij Peskov, Putin non ha preso ancora alcuna decisione riguardo all'invio di un contingente né sul richiamo dell'ambasciatore russo a Washington. L'importante era lanciare il segnale, dimostrare su che tipo di arsenale può contare “legittimamente” il presidente russo.
Nella notte di venerdì il presidente americano aveva avvertito che un intervento militare russo in Ucraina avrebbe comportato dei «costi» per Mosca. Ed è stata questa, secondo un deputato russo, la linea rossa che Obama avrebbe oltrepassato. Ma tutta la giornata di ieri era stata un crescendo ben preparato in anticipo di proclami e di tensione, tesi al colpo di scena finale in cui Putin ha gettato la maschera. Giustificando la propria richiesta con la «situazione straordinaria in Ucraina e le minacce alla vita dei cittadini russi». Le stesse parole usate nell'agosto 2008, prima dell'invasione dell'Ossezia del Sud.
Il primo appello lo aveva lanciato Serghej Aksjonov, il nuovo premier di Crimea installato durante l'occupazione armata del Parlamento di Simferopol. Dopo essersi attribuito il controllo su militari e polizia, annullando ogni potere di Kiev, ha lanciato al presidente russo un appello perché lo aiutasse a garantire la «pace e la tranquillità» della regione. Secondo il nuovo governo ucraino sarebbero già diverse migliaia i soldati russi inviati in Crimea nelle ultime ore.
All'appello di Aksjonov aveva fatto presto seguito quello della Camera bassa, la Duma di Mosca, che invitava Putin ad adottare tutte le misure necessarie a «stabilizzare» la situazione in Crimea. Poi all'invocazione si era unita la fedelissima Valentina Matvijenko, presidente della Camera alta russa. Infine, a Donetsk nel Sud dell'Ucraina e a Kharkiv più a Nord, ma sempre vicino al confine russo, i filo-russi sono scesi in piazza per una specie di Maidan al contrario, denunciando il tradimento dei nuovi leader di Kiev. Qui ma anche a Odessa i manifestanti hanno ammainato la bandiera ucraina dalle sedi del governo, sostituendola con quella russa. Il baratro con i nuovi leader di Kiev, definiti come «banditi fascisti», si allarga sempre di più, in un'atmosfera in cui la tv Russia Today è arrivata a citare il rischio che «elementi radicali ucraini» siano in grado di fabbricare una bomba nucleare.
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FRAGILE TREGUA ED ESCALATION IN CRIMEA
La mobilitazione russa
Venerdì 28 riappare Yanukovich (nella foto a sinistra). Dalla Russia rivendica il suo ruolo di presidente e sollecita il sostegno di Mosca. Milizie filorusse occupano due aeroporti in Crimea, mentre Kiev denuncia l'invasione di 2mila soldati russi. Ieri Putin chiede e ottiene il via libera a un intervento.
Le speranze di un accordo tra il governo Yanukovich e l'opposizione svaniscono con la stessa rapidità con cui si erano materializzate e la crisi precipita con un'escalation preoccupante, culminata tra venerdì e ieri nella mobilitazione russa, che apre la strada a scenari che ricordano la guerra Russia-Georgia del 2008.
La mediazione europea
Il 21 febbraio, con la mediazione dei ministri degli Esteri di Germania (Steinmeier), Francia (Fabius) e Polonia (Sikorski) il presidente ucraino Yanukovich e i rappresentanti dell'opposizione raggiungono un accordo per mettere fine agli scontri. (Nella foto a sinistra Steinmeier e Sikorski)
La fuga di Yanukovich
All'indomani dell'intesa, che prevedeva un ribilanciamento dei poteri ed elezioni presidenziali anticipate, Yanukovich lascia il Paese denunciando il «golpe fascista». I poteri di presidente ad interim vanno ad Oleksandr Turchinov (nella foto a sinistra), alleato di Yulia Tymoshenko.

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