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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2014 alle ore 16:05.

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La Guerra Fredda, data per morta e sepolta 25 anni fa, ritorna dal passato. Sul Mar Nero si riaccendono tensioni da Cortina di Ferro. Domani si vedrà come le Borse, ormai il vero termometro geo-politico, reagiranno all'escalation di un conflitto che hanno finora finto di ignorare. L'abbondanza di liquidità, l'attenzione dedicata alle mosse delle banche centrali e soprattutto al passo della ripresa in Usa ed Europa hanno prima circoscritto le tensioni legate agli effetti del "tapering" sui mercati emergenti e poi "protetto" Borse e bond dalla tensione crescente tra Russia e Ucraina. Ma già dalla seduta di venerdì si è capito che i mercati saranno costretti ora a fare i conti con la realtà: un conflitto in Crimea rischia di destabilizzare non solo il mercato energetico e il commercio mondiale di materie prime, ma di avere gravi ripercussioni sui flussi finanziari tra Occidente e paesi emergenti.

Non a caso, già venerdì pomeriggio Wall Street ha avuto i primi sussulti: alla notizia che 2mila soldati russi erano entrati in Crimea, tutti i principali indici di Borsa sono caduti in picchiata all'unisono, con un forte spostamento di capitali verso il rifugio dei Titoli di Stato Usa. Lo «Spread Ucraina», come già è stato ribattezzato dai trader, è poi rientrato quando è apparso chiaro che non era in corso una vera e propria invasione russa dell'Ucraina: gli indici hanno recuperato terreno chiudendo poi in sostanziale pareggio. Ma gli eventi delle ultime 24 ore rischiano di cambiare lo scenario: se entro domani sera non arriveranno segnali di dialogo tra Russia, Ucraina e Occidente, la reazione degli investitori potrebbe essere pesante. In particolare, gli analisti invitano a tenere sotto controllo non solo l'andamento dei T-bond Usa - termometro puntuale delle tensioni economiche e geo-politiche - ma anche quello di comparti "sensibili" come le banche e la difesa. Almeno finora il comparto degli armamenti non ha registrato scossoni, ma se la tensione dovesse salire sarebbe subito registrata nell'andamento di titoli come Lockheed, Raytheon, Boeing o Finmeccanica. Sulle banche, invece, pesa un'incognita più complessa: i grandi istituti europei e americani dovranno decidere se restare in Ucraina o accelerare l'uscita da un mercato in crisi finanziaria già da tempo.

Non a caso, Commerzbank ha venduto l'ucraina Bank Forum già nel 2012. Per quanto riguarda l'Austria, le cui banche hanno in Ucraina asset per 8 miliardi euro, per ora solo l'Erst Group ha venduto, in perdita, la sua controllata. E pure gli svedesi di Swedbank hanno detto addio l'anno scorso. Sta per farlo, invece, Intesa Sanpaolo che è in trattativa per cedere la controllata Pravex al gruppo finanziario DF. In sintesi, la fuga del credito ha fatto scendere dal 40% al 20% la quota di asset bancari europei in Ucraina in poco più di 4 anni. Al contrario, la presenza delle banche russe sta crescendo in modo esponenziale. E anche l'italiana UniCredit non sembra avere intenzione intenzione di andarsene da Kiev.

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