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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2014 alle ore 07:07.

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(Epa)(Epa)

Mentre l'Italia annuncia le privatizzazioni ma poi prende tempo, c'è chi nel Mediterraneo le vendite dei beni statali le fa davvero, forse anche sull'onda della necessità finanziaria e della minaccia della troika di non versare la tranche degli aiuti internazionali. Un "disco verde" alle cessioni dei beni statali che arriva proprio in zona cesarini alla vigilia dell'eurogruppo previsto il 5 marzo a Bruxelles, incontro chiave che dovrà decidere sul via libera all'esborso della rata di aiuti.

Ma andiamo con ordine e ripercorriamo l'intricata vicenda: il 27 febbraio scorso il ddl sulle contestate privatizzazioni dei telefoni, dell'elettricità e dei porti di Cipro era stato clamorosamente bocciato con 25 voti a favore e 25 contrari, in un'atmosfera sociale molto calda con migliaia di manifestanti radunati davanti al Parlamento di Nicosia presidiato dalla polizia in assetto anti-sommossa.

Un brutto colpo per il governo di centro destra di Nicosia guidato dall'avvocato Nicos Anastasiades, 67 anni, leader della formazione di centrodestra Unione Democratica (Disy) che non però ha perso le speranze e oggi ci ha riprovato con successo: con 30 voti a favore e 26 contrari, il Parlamento cipriota ha approvato un disegno di legge sulla privatizzazione delle aziende pubbliche. Un punto importante nella Road Map concordata con la troika per il risanamento del Paese. L'approvazione ha garantito il futuro del piano di aiuti di Cipro concordato con i creditori internazionali (Ue, Bce e Fmi) e consentirà al governo di ricevere la prossima tranche da 236 milioni di euro di cui ha urgente bisogno per onorare i suoi crediti, tra cui bond in scadenza, salari e pensioni dei dipendenti statali.
La decisione dell'Eurogruppo per il versamento della tranche è attesa per mercoledì 5 marzo. A favore hanno votato i deputati del partito Disy (centro-destra, al governo) del presidente Nicos Anastasiades, e quelli dell'ex partner della coalizione, Diko (destra) con un voto da appoggio esterno.

A marzo 2013 le autorità cipriote avevano concordato con la troika un piano di salvataggio da 10 miliardi di euro complessivi, una somma relativamente ridotta rispetto a quella impegnata nelle crisi di Grecia (240 miliardi), Irlanda (85 miliardi) e Portogallo (78 miliardi) ma tuttavia quasi pari alla metà del Pil cipriota (17 miliardi di euro). Nel suo piccolo Cipro e i suoi politici un anno fa provocarono un "buco" nei conti pubblici di tutto rispetto per un Paese che conta appena lo 0,2% del Pil dell'Eurozona.

Nicosia un anno fa aveva dovuto porre dei limiti alla libera circolazione dei capitali, ponendo dei limiti all'uso dei bancomat o al ritiro di fondi dai conti correnti. Uno dei presupposti per ricevere i finanziamenti era proprio l'attuazione di un piano per la vendita sul mercato della compagnia telefonica statale (Cyta) e dell'Authority dei Porti entro il 2016 e dell'azienda elettrica nazionale (Eac) entro il 2018 per incassi previsti pari a 1,4 miliardi e dare ossigeno al risanamento dei conti dell'isola mediterranea.

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