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Questo articolo è stato pubblicato il 04 marzo 2014 alle ore 06:42.

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NEW YORK. Dal nostro corrispondente
La notizia non è ancora ufficiale, ma fonti vicine alla Casa Bianca anticipano al Sole 24 Ore che dopo l'incontro di ieri fra Benjamin Netanyahu e Barack Obama a Washington, Israele potrebbe accettare la richiesta americana di prorogare fino alla fine dell'anno i negoziati di pace con i palestinesi. Un nuovo documento formale sarà presentato la settimana prossima a Netanyahu dal segretario di Stato John Kerry, subito dopo, il 17 di marzo, Kerry lo proporrà al leader palestinese Mahmud Abbas lo stesso documento. Un nuovo processo negoziale era stato avviato lo scorso luglio con l'obiettivo di raggiungere un accordo entro i nove mesi successivi. Ma a circa un mese dalla scadenza è chiaro che i progressi compiuti sono stati minimi. Anzi, semmai, dopo alcune virate strategiche americane nei confronti della Siria e dell'Iran si sono registrati dei passi indietro: gli israeliani guardavano con sospetto alle aperture americane all'Iran e alla accettazione implicita che il leader siriano Assad potesse continuare a governare. Lo stesso Nethaniahu aveva sconsigliato Obama dal perseguire la strada della collaborazione (anche con Mosca) prima che ci fossero delle garanzie precise in materia di cambiamento di regime di disarmo. Ma Obama ha tenuto duro.
Tuttavia, nel giro di pochi giorni qualcosa di molto importante è cambiato negli scenari internazionali e mette a rischio la strategia - e la credibilità - americana in Medio Oriente: Vladimir Putin, di cui Barack Obama ha bisogno per avanzare sia il dossier siriano che quello iraniano è diventato un avversario, ha dimostrato con il suo comportamento in Ucraina di essere solo interessato al confronto piuttosto che alla collaborazione con gli Stati Uniti. E dunque mentre John Kerry e lo stesso Presidente Obama ipotizzavano l'approccio "win win" (vittoria per tutti) grazie alla collaborazione, Putin dimostrava di non averci mai creduto e nei fatti applicava il modello "zero sum game" secondo cui il tuo vantaggio può derivare solo dalla sconfitta del tuo avversario. Questi sviluppi recentissimi e non ancora risolti, hanno rafforzato la mano di Netanyahu e indebolito quella di Barack Obama, anche sul piano interno.
I repubblicani, contrari a un'apertura all'Iran prima della sottoscrizione di un impegno reale per il disarmo nucleare anche agli impianti di Arak oltre che alle centrifughe per l'arricchimento dell'uranio sono tornati all'attacco. Per queste ragioni, ieri, quando il presidente americano ha incontrato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nell'ufficio ovale della Casa Bianca, la tensione fra i due era ancora più evidente che in passato: Netanyahu aveva da sempre avvertito Obama a non cedere alle tentazioni dell'Iran della Siria e dietro di loro di Mosca.
Ma l'incontro di ieri doveva servire a porre l'accento sul processo di pace. Per Israele in effetti sarebbe sbagliato respingere la nuova proposta del segretario di Stato John Kerry in qusto momento. Il documento riprende i punti chiave in discussione, dai confini, alla sicurezza allo status di Gerusalemme, agli insediamenti palestinesi.
C'è anche una disponibilità di Obama a intervenire direttamente nel negoziato. Prolungare alla fine dell'anno il negoziato sotto l'egida di Kerry/Obama non costerà molto né ai palestinesi né agli israeliani, anche perché entrambi sanno che oggi Washington ha preoccupazioni molto più gravi: difendere le sue prerogative europee ed evitare che l'intero progetto mediorentale crolli per l'offensiva di Vladimir Putin.
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