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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2014 alle ore 12:32.
L'ultima modifica è del 05 marzo 2014 alle ore 12:35.

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LONDRA - I l tremolio più netto si avverte in Saint James' square, maison di Bp, intestataria del maggior singolo investimento estero in Russia grazie al 20% in portafogli di Rosneft, il colosso mondiale del petrolio. Se le cose precipiteranno davvero dalle parti di Sebastopoli, la botta delle sanzioni reciproche potrebbe concentrarsi sulla major britannica che incassa circa 800 milioni di dollari di dividendi dalla quota nel gruppo nato dai resti della Yukos di Mkhail Khodorkovski. «È il motivo più evidente - commenta Fawad Razaqzada di Gain Capital al Sole 24 Ore - della vulnerabilità di Bp dinnanzi alla crisi ucraina». Il titolo dopo la scivolata di due giorni fa ha perso ieri qualche altra frazione.

La paura non finisce lì, in un intreccio da leggere in termini di geopolitica più che investimenti finanziari. La conferma è arrivata dallo scoop del fotografo Steve Back che ha immortalato il documento in mano a un funzionario di Downing street in cui si legge chiaramente la preoccupazione inglese per le conseguenze sull'economia britannica di misure contro la Russia. «Nessun sostegno per ora alle sanzioni commerciali...o chiusura della City ai russi» è scritto nel documento discusso nell'ufficio di David Cameron. La sensazione di un paso doble inglese con Londra che fa la voce grossa pubblicamente per dettare poi una linea morbida in sede europea si conferma, dunque, e perdura nonostante la precisazione di ieri del ministro degli Esteri britannico William Hague deciso, ufficialmente, a tenersi le mani libere. «Tutte le opzioni sono aperte - ha detto ai Comuni - il documento fotografato non è necessariamente la linea guida del governo". Parole che non basteranno, crediamo, per archiviare il sospetto sulla linea inglese e per sopire le polemiche interne accese da chi avrebbe voluto maggior decisione da parte del governo Cameron.

L'imbarazzo inglese non manca e non può essere diversamente. Sono 66 le società russe quotate sui listini del London stock exchange. Giganti come Rosneft al fianco di medie imprese che se sommate a quelle degli altri Paesi ex Urss hanno una capitalizzazione che supera i 500 miliardi di dollari. E molte "new entry" sono prossime venture a dare retta alle voci sulle Ipo del 2014. Si parla da giorni di Detsky Mir e Metro, ma anche di Credit Bank of Moscow, a conferma che la liaison Mosca-Londra va molto oltre le evidenze petrolifere o del pallone - non solo il Chelsea fa capo a Roman Abramovich ma anche l'Arsenal è in parte controllato da Alisher Usmanov- in un intreccio che rende le sanzioni arma a doppio taglio come mai prima d'ora.

Il rublo corre per le vie della Gran Bretagna, molto più di quanto illumini i bilanci di Bp. E non solo la City se è vero quell'acrobatico calcolo di Ramidus Consulting secondo cui la Russia e i paesi dell'ex Urss spendono la fetta di gran lunga maggiore dei 4 miliardi di sterline che i paesi emergenti riversano nel Regno Unito ogni anno in spese varie. Numero astronomico? Assolutamente sì, anche perchè non tiene conto degli investimenti immobiliari a Londra di cui i russi restano la prima nazionalità nella lunga lista di compratori internazionali.

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