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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2014 alle ore 14:07.
L'ultima modifica è del 05 marzo 2014 alle ore 19:25.

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ROMA - Un sussidio di disoccupazione della durata massima di due anni, esteso ad una platea di circa 300mila collaboratori, oggi in buona parte privi di sostegno se perdono il lavoro.

Prende corpo la proposta del nuovo ammortizzatore, in chiave "universalista", contenuta nella bozza di Jobs act targata Renzi che lunedì sera è stata consegnata dal sottosegretario Graziano Delrio, ai ministri dell'Economia, Pier Carlo Padoan, e del Lavoro, Giuliano Poletti. Il nuovo sussidio, secondo le prime stime effettuate dai tecnici chiamati a lavorare al Jobs act dai responsabili Economia e Lavoro del Pd, Filippo Taddei e Marianna Madia (ministro della Pa), avrebbe un costo annuo di 9,5 miliardi. Una cifra pari alla somma tra i 7,1 miliardi erogati per Aspi e mini-Aspi e i circa 2,4 miliardi in media spesi ogni anno per gli ammortizzatori in deroga.

Il nuovo ammortizzatore sociale, che supera gli attuali Aspi e mini-Aspi della legge Fornero, sarà calibrato in base ai contributi versati e avrà requisiti di accesso più elastici. Si prevede una graduale riduzione degli ammortizzatori in deroga, la cui scadenza viene accelerata (si ipotizza un anno prima, ovvero il 2015) rispetto alla dead-line della legge 92 (il 31 dicembre 2016) che era legata al decollo dei fondi di solidarietà. La logica dell'operazione è il principio assicurativo: «Sono i contributi che pagano lo strumento», sottolinea Taddei. Del resto, gli ammortizzatori in deroga «sono diventati un sussidio improprio di disoccupazione», spiega l'economista Marco Leonardi, tra i tecnici chiamati a lavorare dal Pd sul Jobs act. Come detto verrebbe ricoperta una platea di circa 300mila collaboratori, anche se i parasubordinati iscritti solo alla gestione separata, con 3 mesi di anzianità contributiva sono 703mila (esclusi gli amministratori o i sindaci di società). L'obiettivo, parallelo, è quello di riportare la cassa integrazione alla funzione originaria di sostegno delle aziende in temporanea difficoltà.

Il ministro Padoan avrebbe chiesto due settimane per verificare la proposta, soprattutto in termini di copertura. Anche il ministro Poletti vuole approfondire il dossier: ieri nel tardo pomeriggio ha incontrato per poco più di un'ora la leader della Cgil, Susanna Camusso, poi i rappresentanti dell'Abi, questa mattina toccherà al numero uno della Cisl, Raffaele Bonanni, domani al segretario generale della Uil Luigi Angeletti e a quello dell'Ugl Giovanni Centrella. Domani vedrà anche Rete imprese Italia e venerdi Confindustria. «Si è parlato di temi come il taglio del cuneo fiscale, il finanziamento della cassa in deroga e la possibilità di superarla con un ammortizzatore universale – commenta Camusso – ma neanche dal nuovo ministro sono riuscita a scoprire cosa c'è nel Jobs act. L'unica cosa chiara è che si proseguirà rapidamente sul piano Garanzia Giovani».

Sentite le parti sociali, Poletti dovrà cercare una sintesi nelle posizioni all'interno del governo, in particolare con Ncd che per voce del capogruppo in Senato, Maurizio Sacconi, ha sollevato critiche al contratto di inserimento a tutele crescenti proposto nella bozza di Jobs act perché «rischia di cannibalizzare l'apprendistato che invece va potenziato». Dal Pd, il presidente della commissione lavoro della Camera, Cesare Damiano, invita «il governo a riflettere» sull'ipotesi di anticipo della fine della Cigd che «tutela oltre 130mila lavoratori, se questo strumento venisse abrogato li trasformeremmo in disoccupati», andando ben oltre l'attuale 12,9% di senza lavoro.

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