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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2014 alle ore 06:40.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 13:56.

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ROMA - Potrebbe essere un'altra freccia per l'arco di Silvio Berlusconi nella sua battaglia contro la Legge Severino, che, in conseguenza della condanna definitiva a quattro anni di carcere per frode fiscale in merito al processo Mediaset, lo ha costretto a lasciare il Senato lo scorso 27 novembre. L'aiuto viene dalla decisione depositata martedì dalla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo (si veda il Sole24Ore di ieri): se la sanzione qualificata come amministrativa sul piano interno è di una severità tale da essere equiparabile a una penale, non è possibile avviare un nuovo procedimento giurisdizionale penale dopo quello di natura amministrativa.

La decisione presa a Strasburgo fa riferimento al caso Ifil-Exor: la Consob, riconosciuta la commissione di atti di manipolazione del mercato, aveva comminato sanzioni pecuniarie e interdittive (confermate in Cassazione) a carico di Franzo Grande Stevens, Gianluigi Gabetti e altri. Nel frattempo, per i medesimi fatti, si è aperto anche un procedimento penale. Per violazione del principio del "ne bis in idem" (che vieta di processare due volte la stessa persona per il medesimo fatto) è stato presentato ricorso ai giudici di Strasburgo. La Corte dei diritti dell'uomo ha accolto il ricorso degli avvocati Franco Coppi e Michele Briamonte a favore di Grande Stevens, Gabetti e altri sulla questione dello swap sulle azioni Fiat del 2002. Coppi è anche l'avvocato che ha fatto ricorso alla stessa Corte a favore di Berlusconi contro la sentenza che lo condanna ai diritti Mediaset.

È stato lo stesso Briamonte, a Mix24, condotto da Giovanni Minoli su Radio 24, a spiegare l'impatto della sentenza: «Io non sono nel collegio dei difensori del cavalier Berlusconi però sicuramente un'analogia c'è, nel senso che il principio sanzionato è il medesimo e devo dire che sono sicuro che i difensori del cavaliere quando leggeranno il paragrafo 229 della sentenza avranno secondo me un buon argomento». Nel dettaglio, Briamonte fa riferimento a quel punto «dove si dice che l'Italia, come qualsiasi paese dell'Unione Europea, non può sanzionare fiscalmente un illecito e poi pretendere di sanzionarlo anche penalmente. Perché se la sanzione fiscale, al di là di essere qualificata nell'ordinamento come solo amministrativa e non penale, è una sanzione afflittiva questa elimina, consuma il potere di sanzione».

Nel loro ricorso alla Corte di Strasburgo, il 7 settembre scorso, gli avvocati di Berlusconi avevano messo nel mirino la legge Severino su due fronti. Primo: la norma «è contraria al divieto di retroattività delle sanzioni penali» e per questo viola l'articolo 7 della Convenzione dei diritti dell'uomo. Secondo: la legge voluta dal governo Monti è contraria all'articolo 3, protocollo 1 della Cedu, quello che stabilisce il diritto a libere elezioni.

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