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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2014 alle ore 11:41.
L'ultima modifica è del 06 marzo 2014 alle ore 13:51.

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Il troppo fa male. La bassa inflazione di Eurolandia, anche se non è deflazione, crea molti danni all'economia. Può sorprendere sentirlo, dopo decenni di alti lamenti sulla dinamica troppo veloce dei prezzi, su quella che è davvero "la peggiore delle tasse" perché incide in modo imprevedibile sui salari dei lavoratori dipendenti e sui risparmi delle famiglie, erodendoli nel tempo. In fondo, l'inflazione in calo non favorisce i risparmiatori, peraltro colpiti da anni di tassi molto bassi, che vedono migliorare i rendimenti reali? Non aumenta – come per qualche tempo ha ricordato la stessa Bce – il potere d'acquisto atteso delle famiglie?

1. Gli errori di misurazione
Anche la bassa inflazione, invece, fa male. Per questo motivo tutti chiedono alla Banca centrale europea di intervenire per risolvere il problema. Il presidente Mario Draghi ha più volte ricordato che, a causa di inevitabili errori di misurazione, un'inflazione troppo massa può mascherare una vera e propria deflazione, fenomeno ben più temibile. Non si tratta però solo di questo.

2. Il rischio di deflazione
L'inflazione bassa può innanzitutto precedere, annunciare e persino causare una deflazione. Perché questo avvenga occorre che le aspettative sui prezzi si disancorino dal livello del 2% che costituisce, per la Bce, il livello ottimale (il suo obiettivo è un'inflazione più bassa ma vicina al 2% nel medio periodo). Eurolandia non è ancora in questa situazione, se si guarda alle aspettative di lungo periodo. Reza Moghadam, Ranjit Teja, e Pelin Berkmen del Fondo monetario internazionale invitano però a guardare le aspettative a due-quattro anni, il periodo rilevante per le operazioni di investimento e per le trattative salariali. È innegabile che siano in calo.

3. Tassi reali in rialzo
La conseguenza del calo delle aspettative è immediata: i tassi di interesse attesi, rilevanti per le decisioni di investimento ben più di quelli attuali, e reali, al netto dell'inflazione attesa, sono in rialzo e costituiscono un disincentivo a investire. L'effetto è limitato, naturalmente: a determinare gli investimenti ci sono anche altri fattori, tra cui le prospettive di domanda. È evidente però che questa è una preoccupazione per la Banca centrale europea, che ha già i tassi ufficiali allo 0,25%. Per incidere su questi tassi attesi, sarebbe importante modificare la forward guidance, la promessa – che non è un impegno – a muovere i tassi in modo predeterminato nel futuro (ovviamente se non cambiano radicalmente le condizioni dell'economia). La Bce ha semplicemente promesso di mantenere i tassi bassi a lungo, e fin quando è necessario. Per diversi analisti ed economici occorrerebbe maggior precisione.

4. Debiti reali in aumento
Come la deflazione, anche un'inflazione inferiore alle attese può incidere sulla capacità di un debitore – privato o pubblico - di onorare i propri impegni. I debiti sono definiti al valore nominale, e si è sempre detto che un'inflazione elevata favorisce i debitori che devono – per così dire – "fare meno sforzi" per restituire il capitale preso a prestito e pagare gli interessi. Se però l'inflazione scende a livelli più bassi di quelli previsti nel momento in cui il debito viene contratto, gli oneri evidentemente aumentano. Per i paesi molto indebitati è un problema.

5. Più difficile il riequilibrio
In una Unione monetaria, non è possibile deprezzare il cambio in caso di crisi. Ogni riequilibrio deve avvenire toccando prezzi e salari. Nel caso specifico di Eurolandia, i prezzi dovrebbero per esempio crescere più lentamente in Italia, o in Spagna, che in Germania, dove ci si dovrebbe anzi attendere un'inflazione superiore al 2%: per la Bce è necessario che la media punti, nel medio periodo, all'obiettivo. In questo modo sarebbe possibile sostenere le esportazioni spagnole e italiane e penalizzare quelle tedesche come se ci fosse stato un deprezzamento della lira o la peseta. Se l'inflazione però rallenta ovunque, anche in Germania e nei paesi già in ripresa, la fase di riaggiustamento diventa lunga e faticosa.

6. Un rischio di maggiore disoccupazione
Il riaggiustamento coinvolge anche i salari, che devono calare nei paesi in crisi rispetto a quelli dei paesi in ripresa. L'inflazione può rendere meno doloroso questo processo: quello che conta è che calino i salari reali. Non si tratta tanto di "illudere" i lavoratori dipendenti, i quali anche se vedono i salari nominali stabili o addirittura in crescita notano sicuramente che il potere d'acquisto cala: l'inflazione è un fenomeno di cui tutti conoscono ormai gli effetti. Si tratta piuttosto di aiutare le imprese a limitare i licenziamenti, riducendo i costi reali. L'esigenza di avere un po' di inflazione per ridurre la disoccupazione ma non tanta al punto da disincentivare le esportazioni rende il riequilibrio un gioco di equilibrismo molto delicato. Una situazione in cui la dinamica dei prezzi cala ovunque complica maledettamente le cose.

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