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Questo articolo è stato pubblicato il 08 marzo 2014 alle ore 14:17.

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The North Face - Simone Moro/David Goettler/Emilio PrevitaliThe North Face - Simone Moro/David Goettler/Emilio Previtali

Le finestre di bel tempo dureranno poco. Sai che dovrai essere veloce, molto veloce, per salire fino lassù. Conquistare la vetta del Nanga Parbat per la prima volta d'inverno è il tuo sogno. Però la via è lunga, più difficile del previsto. Hai avuto problemi di stomaco e vomitato durante la notte. Provi a salire lo stesso, ma capisci che sei troppo lento. Così decidi di scendere, lasciando agli altri la speranza di proseguire il più possibile. Per Simone Moro la spedizione al Nanga Parbat è finita a circa 6500 metri, al terzo tentativo di scalata alla vetta da quando era cominciata l'impresa. Moro si trovava al campo base del versante Rupal dai primi di gennaio, insieme al compagno di cordata David Goettler e al terzo membro della squadra, Emilio Previtali. Con loro c'erano anche gli alpinisti polacchi guidati da Tomek Mackiewicz. L'obiettivo era comune, seguire la via Schell verso l'unica cima di ottomila metri, insieme al K2, mai scalata nella stagione più fredda.

Unire le forze è stata la tattica più logica. Allestire i campi intermedi, condividere l'attrezzatura, utilizzare le stesse corde fisse piazzate nei punti più delicati del percorso. Eppure tutti questi sforzi non sono bastati. Goettler e Mackiewicz hanno toccato quota 7200, affacciandosi sul versante Diamir della montagna, dove avrebbero dovuto traversare per continuare il percorso stabilito. Si sono però resi conto che le condizioni erano proibitive: troppo freddo, troppo vento, maltempo in arrivo. I rischi erano eccessivi, considerando che nessuno è mai riuscito a raggiungere gli 8125 metri della sommità in un solo giorno, partendo dalla posizione di Goettler e Mackiewicz. La decisione più saggia era rientrare al campo base.

Intanto sul lato Diamir un altro alpinista italiano aveva appena rinunciato allo stesso obiettivo di Simone Moro. Daniele Nardi voleva riprovare a scalare l'inviolato sperone Mummery, già affrontato lo scorso inverno con l'alpinista francese Elisabeth Revol. Stavolta Nardi era completamente solo, pronto a misurarsi con il Nanga Parbat contando sulle sue uniche forze. Aveva stabilito di seguire in pieno lo stile alpino: tutto quello che serve per l'arrampicata, lo metti nel tuo zaino. Bisogna avere il coraggio di eliminare non solo le bombole d'ossigeno e i portatori d'alta quota, ma anche le corde fisse e i bivacchi permanenti.

Pure Nardi, tuttavia, ha dovuto alzare bandiera bianca. Il Nanga Parbat non gli ha concesso nemmeno un tentativo "vero" di salita. Lo sperone Mummery era inattaccabile da un alpinista solitario, volendo mantenere un margine accettabile di sicurezza. Il vento aveva spazzato la neve, lasciando quel ghiaccio durissimo e nero che aumenta di molto le difficoltà dell'ascensione. L'alpinista, infatti, è costretto a battere con più forza i ramponi e le piccozze, per puntellarsi alla parete senza scivolare. Impossibile pensare di scalare così per migliaia di metri di dislivello, sommando le difficoltà dell'aria rarefatta e del peso dello zaino, senza un compagno a darti il cambio. Nardi ha provato un'incursione sulla classica via Kinshofer, ma il crollo di un gigantesco seracco, che l'ha mancato per un soffio, ha decretato la parola fine alla sua seconda esperienza invernale.

Con la ritirata degli italiani, restano solo i polacchi. Mackiewicz ha deciso di restare fino al 21 marzo con gli altri elementi della squadra. Sono molto motivati e ancora pieni di energia. D'altronde i polacchi sono i principali protagonisti di questo alpinismo invernale, oltre a Simone Moro, che può vantare tre prime assolute nel periodo più freddo dell'anno (Shisha Pangma, Makalu e Gasherbrum II). Mackiewicz punta meno sulla velocità e più sulla capacità di resistere parecchi giorni a quote elevate. Finora però ha sempre vinto il Nanga Parbat: 17 spedizioni hanno fallito e solo in tre occasioni gli alpinisti hanno superato i settemila metri. Nel 1997 i soliti polacchi arrivarono ad appena 250 metri dalla vetta, prima di desistere a causa di gravi congelamenti.

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