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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2014 alle ore 13:06.
L'ultima modifica è del 10 marzo 2014 alle ore 14:17.

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Lo shale gas, almeno sul breve termine, non rappresenta tuttavia la panacea per i mali europei. L'equazione più gas naturale americano in Europa meno gas importato dalla Russia incontra una serie di ostacoli. Soprattutto se si guarda all'immediato. A oggi, sul petrolio prodotto negli Usa esiste un embargo decennale deciso per ragioni strategiche. Quanto alle esportazioni di gas naturale, sono consentite solo con quei Paesi o organizzazioni di Paesi con cui gli Usa hanno un "trade agreement." A chi non ha firmato un tale accordo - Europa inclusa – occorrerebbe un approvazione del Governo. Fino ad oggi solo sei domande sono state approvate, ma occorre tenere presente che il processo per il rilascio dei permessi è ancora lungo e farraginoso. Sarebbe dunque necessario un processo di liberalizzazione su entrambi i fronti, come ha sollecitato Ms Murkowski, cosa non facile da raggiungere in tempi brevi. (la scorsa settimana alcuni repubblicani della Commissione energetica hanno perfezionato una normativa per rilasciare un'immediata approvazione a 24 domande pendenti sull'export di Lng e rimuovere in seguito le restrizioni ai paesi membri del Wto).

In secondo luogo a oggi gli Stati Uniti non possiedono abbastanza infrastrutture per esportare l'enorme quantità di gas a basso prezzo che producono. I terminali per l'export oltreoceano saranno pronti solo l'anno prossimo. Il primo impianto sarà funzionante nella seconda metà del 2015 ma non è chiaro, anche quando saranno terminati gli altri, se gli Usa avranno davvero un quantitativo sufficiente di gas da esportare per creare una differenza in Europa.

Senza considerare che in novembre c saranno le elezioni di medio termine e prima di allora è difficile che Obama autorizzi esportazioni. Lo shale gas infatti ha sollevato molte polemiche a causa dei rischi ambientali che comporta . Aumentare le perforazioni per esportarlo significherebbe mettere a repentaglio parte dei fondi che i donatori democratici sensibili ai temi ambientali metterebbero sul tavolo. Lo stesso vale per il patrimonio di voti.

Inoltre c'è anche un partito di senatori perplessi, se non apertamente critici, sull'opportunità di esportare gas. Gli argomenti dalla loro parte sono convincenti, soprattutto se si guarda solo agli interessi nazionali. Innanzitutto gli stoccaggi di Lng in Europa si trovano a livelli al di sopra della norma. Quindi non ci sarebbe fretta. In secondo luogo la Russia arrecherebbe un gravissimo danno alle sue economia se tagliasse le forniture all'Europa. Sul fronte nazionale c'è poi la preoccupazione che le vendite oltreoceano di gas possano provocare un aumento dei prezzi interni del carburante e del gas, creando difficoltà alle imprese manifatturiere e chimiche americane, se non annullando il loro grande vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza europea.

Chi è favorevole continua a vedere l'export di Lng come un'arma geopolitica da non sottovalutare. Come evidenziato nel progetto di legge bipartisan (S192) introdotta dal repubblicano John Barrasso per bypassare il processo delle approvazioni governative. Vale a dire definire le esportazioni di gas ai paesi Nato come "Interesse nazionale". Ma gli altri ostacoli rimangono difficili scavalcare. Ancora una volta, il cordone ombelicale energetico che lega Europa e Russia è difficile da recidere. Almeno nel breve/medio termine.

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