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Questo articolo è stato pubblicato il 13 marzo 2014 alle ore 10:29.
L'ultima modifica è del 14 marzo 2014 alle ore 13:10.

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«Il problema dell'Italia? È che io verrei assunto come "giovane". Ma ho 40 anni!». Giulio Boccaletti, classe 1974, è appena stato indicato dal World Economic Forum come uno dei 214 Young Global Leaders: i "giovani leader globali" selezionati su una base di più di 2mila candidature dagli organizzatori del Forum di Davis. L'Italia si fa largo a tentoni in una classifica dominata da Asia e Nord America (49 e 48 premi) con appena due rappresentanti: Francesca Carlesi, managing director a Deutsche Bank, e lo stesso Boccaletti, a sua volta managing director nel gigante del verde The Nature Conservancy.

Dopo esperienze tra Princeton, Mit di Boston e McKinsey, Giulio ha sposato il no profit e segue per il colosso della conservazione ambientale tutto quello che riguarda l'acqua: impianti indroelettrici, ristrutturazione delle pianure alluvionali,sviluppo sostenibile. «Ho fatto tre carriere diverse prima di aver compiuto 40 anni – spiega al Sole 24 Ore Boccaletti - In Italia sarebbe stato possibile? Be'... Probabilmente no».
Tre carriere diverse? «Sì. La prima nell'accademia, la seconda a McKinsey e la terza, quella in corso, nell'ambiente» prosegue Boccaletti, oggi sempre in volo tra New York, Londra e «dovunque serva». «Dopo la laurea in fisica all'Università di Bologna, ho lasciato l'Italia nel 1998 e sono andato a Princeton, dove ho fatto un dottorato di ricerca in fluidodinamica geofisica per cinque anni (oceonografia e studio dell'atmosfera, ndr). Quindi ho lavorato ricercatore all'Mit di Boston, dove mi occupavo di questioni di fluidodimanica». L'addio agli studi, almeno per contratto, arriva con la "seconda carriera" in McKinsey: «Ho deciso di lasciare l'accademia perché sentivo di non avere abbastanza impatto – prosegue Boccaletti - e sono stato assunto in McKinsey a New York per otto anni, dove sono diventato partner e dove ho fondato con dei colleghi la practice che si occupava di questioni relative all'acqua. Il mio lavoro è stato di consulenza, focalizzandomi sempre di più su risorse, con l'acqua come centro del mio lavoro». Da lì, strada spianata fino alla posizione di managing director detenuta a The Nature Conservancy. Dove il centro della sua attività, guarda caso, è l'acqua: «Il cuore dell'istituzione è la conservazione dell'ambiente. In questa associazione io mi occupo di tutto quello che ha fare con l'acqua nel mondo: i grandi impianti idroelettrici in Cina; il lavoro di ristrutturazione delle floatlines (pianure alluvionali) per cercare di ripristinare la funzionalità degli ecosistemi; lo sviluppo sostenibile...».

Giulio ha vissuto sulla sua pelle gli squilibri di interesse e risorse tra ricerca italiana e ricerca internazionale. Me le marce in più rispetto ai colleghi nordamericani o asiatici sono scattate nella sua Bologna, dal liceo scientifico Giordano Bruno di Budrio alla laurea in Fisica maturata nel dipartimento di via Irnerio. Il primo dottore in famiglia Boccaletti: «Tutto questo è stato possibile perché mi sono formato in Italia. A Budrio elementari, medie, liceo. A Bologna l'università. E la preparazione fatta al dipartimento di Fisica a via Irnerio a Bologna è stata una preparazione migliore di quella dei colleghi americani, come ho realizzato andando a Princeton!». La differenza? «I miei colleghi avevano l'idea che fosse il loro diritto avere una vita straordinaria; in parte perché c'erano le risorse in parte perché dicevano loro che c'era modo. Perché funziona così_ se dai confidenza, se fai sentire qualcuno un collega e non un peso, stimoli la creatività".

L'Italia lo ha capito? Stando ai numeri, si direbbe di no: secondo gli ultimi dati Istat il nostro paese investe in Ricerca e Sviluppo appena l'1,25% del Pil, contro il 2,05% della media Ue e il 3% fissato da Bruxelles come parametro ideale entro il 2020. Inversione di rotta in vista? «Non mi sembra ci siano alternative. Ci dovranno essere degli investimenti. L'unica cosa che abbiamo in Italia sono i cervelli. Come ci può essere la crescita in Italia se non investi in ricerca?» si chiede Boccaletti. L'esperienza negli States insegna. Sia nei requisiti, sia negli assegni garantiti a chi lavora per l'università: dagli stage a costo zero dell'Italia ai 50mila dollari di finanziamento (minimo) per chi firma i primi contratti da ricercatore negli Usa. «A Princeton e nei grossi college, come dottorandi, si prendeva dai 20mila ai 30mila dollari Come ricercatore, dai 50mila agli 80mila dollari. Per gli assistenti e i ricercatori, poi, è in crescita – spiega Boccaletti - Ci può essere le passione e il talento. Ma come fai a cambiare il mondo se vieni pagato la fame?».

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