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Questo articolo è stato pubblicato il 12 marzo 2014 alle ore 06:41.
L'ultima modifica è del 12 marzo 2014 alle ore 06:54.

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YALTA. Dal nostro inviato
A Dima già brillano gli occhi: «Presto saremo l'84° soggetto della Federazione russa», e si immagina una Crimea indipendente ma accudita e sostenuta da Mosca, un futuro radioso come i cartelli ai lati della strada per Yalta che, ricordando a tutti il referendum del 16 marzo, fanno incontrare Russia e Crimea in un bel mazzo di narcisi.
Ma i contorni di questa primavera sono ancora piuttosto imprecisi: se la Duma di Mosca si pronuncerà solo il 21 marzo sull'esito del voto, un compromesso tra Cremlino e comunità internazionale potrebbe fermare Simferopol sulla via di Mosca, e lasciarla nel limbo in cui si trovano Ossezia e Abkhazia, la loro indipendenza dalla Georgia riconosciuta solo dai russi. Facendo i suoi calcoli, tra l'altro, forse Vladimir Putin terrà anche conto che l'annessione della Crimea potrebbe costargli 6 miliardi di dollari l'anno, come scrive il Moskovskij Komsomolets. Al contrario, Kiev ha già cominciato a raccogliere aiuti nella sua battaglia contro la bancarotta: ieri l'Unione europea ha proposto all'Ucraina agevolazioni commerciali per mezzo miliardo di euro all'anno, l'abolizione di dazi sull'import che, promette la Commissione Ue, è il primo passo verso un più ampio Accordo di associazione. Quello che il deposto Viktor Yanukovich - riapparso ieri da Rostov per lanciare un attacco contro «i fascisti e gli ultranazionalisti» che hanno preso il suo posto al governo - non aveva voluto firmare a novembre, innescando la crisi.
Sullo sfondo di una nuova telefonata infruttuosa tra i ministri degli Esteri di Usa e Russia, John Kerry e Serghej Lavrov, non è facile intuire la direzione che potrebbe imboccare la diplomazia alla ricerca di una via d'uscita: i toni ieri erano ancora quelli del confronto. Se Mosca non invertirà la rotta e non annullerà il referendum in Crimea, ha detto il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, rischierà nuove sanzioni da parte della Ue. Simferopol non sembra farci alcun caso, e brucia le tappe: ieri il parlamento locale ha adottato una dichiarazione di indipendenza che abbandona lo status autonomo nell'ambito dell'Ucraina proclamandosi repubblica e rendendo così possibile dopo il voto - come ha chiarito lo speaker Vladimir Konstantinov - l'ingresso nella Federazione russa. Sul modello del Kosovo, conferma il ministero degli Esteri russo, che non vede nella decisione unilaterale alcuna violazione di trattati internazionali.
A Kiev la pensano diversamente, ma gli ultimatum del nuovo governo cadono nel vuoto per i dirigenti di Simferopol che hanno già fatto chiassosamente la propria scelta. Per la gente di Crimea, che spesso intreccia nelle proprie famiglie radici ucraine e russe, il passo non è altrettanto facile da compiere. Soprattutto a Yalta, un mondo che vorrebbe continuare a proporsi per quello che è, un luogo in cui riposare, che di turismo vive. Neanche qui amano quelli che Tatjana Gonchar chiama «i banditi di Kiev», pur essendo ucraina: «In questa situazione politica meglio stare con la Russia, ma se a Kiev arrivasse un governo più adeguato...». Tatjana è coproprietaria di una società, Tavrida, che ha rilevato un hotel dove amava soggiornare Cechov, diviso ora in appartamenti in affitto: «Per noi - spiega - la cosa più importante è che ci sia tranquillità». Ma già ora la maggior parte dei clienti viene dalla Russia, «non sono tanti gli ucraini che possono permetterselo».
Fuori, sul lungomare intitolato a Lenin, rumoreggia una tenda di sostenitori del governo di Simferopol, cartelli contro la Nato e inni alla fratellanza con la Russia. In un'azienda produttrice di vini, Massandra, le convinzioni di Kristina Beju sono più silenziose, e più sofferte: «Non ci fidiamo di Kiev - dice - perché in dieci anni non c'è mai stata stabilità. Quello che temiamo di più è avere problemi con la Russia, con la Russia è meglio non litigare. Guardando all'Europa, il governo ucraino ci ha messo nei guai». Lo dice piangendo.
«Questa situazione ha già avuto un impatto negativo per noi - racconta Vjaceslav Kurashin, direttore dell'antico Hotel Bristol, sulla via Roosevelt - già da dicembre abbiamo meno turisti ucraini. Ma non tutto è perduto: si può ancora trovare il modo di risolvere la situazione pacificamente». Il rischio, spiega, è sbriciolare in un attimo un'immagine costruita negli anni. E la soluzione potrà venire da un accordo tra i leader internazionali: «Purché non ci sia una guerra». E forse Vjaceslav si avvicina più di tutti alla soluzione quando parla di nuove proposte in discussione, una conferenza che porti a una federazione ucraina: «Bisogna che i leader capiscano che qui siamo un solo popolo - dice -. Non è tanto importante a chi appartenga, la Crimea è una terra dove riposare». Se c'è un luogo in cui trovare la via d'uscita, è giusto che sia Yalta.
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