Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 13 marzo 2014 alle ore 06:41.
L'ultima modifica è del 13 marzo 2014 alle ore 06:57.

My24


ROMA
«Stop alle manette facili» è la filosofia della riforma della custodia cautelare in attesa, proprio in questi giorni, del sì definitivo del Senato. Una riforma «condivisa» perché ha messo d'accordo maggioranza e opposizione, non solo nella prospettiva di alleggerire la popolazione carceraria (il 36% dei 60.500 detenuti è in attesa di sentenza definitiva) ma soprattutto nella convinzione che vi sia un ricorso eccessivo alla custodia cautelare, come avrebbero testimoniato anche alcuni casi «eclatanti» di cronaca (per esempio quello di Silvio Scaglia, ex Ad di Fastweb, assolto nel 2013 dalle accuse di truffa nell'ambito del processo Telecom Sparkle dopo tre mesi di carcere e nove di domiciliari). Appelli ad un self restraint dei magistrati erano venuti anche dai vertici della Cassazione, sebbene proprio i dati della suprema Corte sembrerebbero smentire un uso troppo disinvolto delle manette, che al contrario superano indenni il controllo finale della Cassazione nella maggior parte dei casi. Nel 2013, infatti, solo il 2,3% dei provvedimenti cautelari è stato annullato senza rinvio con conseguente scarcerazione degli imputati, mentre il 37% (a cui andrebbe aggiunto il 43% dei ricorsi dichiarati inammissibili) è stato confermato e il 15,7% è stato annullato con rinvio (quindi senza scarcerazione).
Delle due, l'una: o la Cassazione è troppo cauta nel censurare il ricorso alla custodia cautelare oppure le motivazioni dei giudici sul quadro indiziario che fa scattare le manette sono «rigorose». Certo è che se dalla Cassazione fosse arrivata una linea più restrittiva sul carcere preventivo, forse i giudici si sarebbero adeguati, senza bisogno di una riforma legislativa. Che ora introduce parametri più stringenti per arrestare, facendo della custodia cautelare un rimedio residuale, quando, cioè, «risultino inadeguate» le altre misure coercitive e interdittive previste dall'ordinamento. In particolare, per evitare «abusi», la stretta più significativa riguarda il «pericolo di fuga» e di «reiterazione del reato» dell'indagato: il rischio non dovrà essere solo concreto - com'è oggi - ma anche «attuale». Inoltre, si riduce il margine di valutazione del giudice, che non potrà basarsi solo sulla gravità del reato, ma dovrà tener conto delle modalità e circostanze in cui il delitto ha avuto luogo nonché dei precedenti e del comportamento dell'imputato, motivando il provvedimento in modo «rigoroso».
In realtà, già oggi i criteri previsti dal Codice sarebbero stringenti, anche se la giurisprudenza è tollerante. In Cassazione, infatti, le misure cautelari tendenzialmente tengono e, anche là dove non tengono, non sfociano nella scarcerazione (proprio perché l'annullamento con rinvio rimette la palla al giudice di merito senza incidere sullo stato di detenzione). Ovviamente, nel far scattare le manette è fondamentale la motivazione del giudice. Se in un processo per associazione di stampo mafioso la Corte si trova davanti una motivazione zoppa sulla custodia cautelare, è più probabile che annulli con rinvio, per far adeguare la motivazione al quadro indiziario, piuttosto che annulli senza rinvio, escludendo la sussistenza degli indizi dell'associazione mafiosa e scarcerando gli imputati. Nel 2013, le scarcerazioni sono state in totale 60, tenendo anche conto di quelle a seguito di mandati di arresto europeo. E 60 scarcerazioni in un anno, rispetto a circa 4000 ricorsi, è considerato un dato "rassicurante".
Scorrendo i dati si nota, tra l'altro, che il 7,8% del totale dei processi definiti si chiude con un annullamento senza rinvio, mentre nel cautelare la percentuale scende al 2,3; e se il 9,9% dei processi viene annullato con rinvio, nel cautelare la percentuale sale a 15,7. Infine, il 15,9% dei processi si chiude con il rigetto dei ricorsi mentre nel cautelare il rigetto sale al 37,5%. Con riferimento ai reati contestati, inoltre, i processi per associazione di stampo mafioso (solo il 3,2% del totale) hanno un'alta percentuale di misure cautelari (22,8%). Per i reati di corruzione, i processi sono il 3,6% del totale e le misure cautelari il 4,5%. Da notare, infine, il picco di misure cautelari, nel 2013, per i reati di riciclaggio (+238,5%), fallimentari (+39,7), immigrazione (+51,7) e anche di corruzione, con un +27,1%.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi