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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2014 alle ore 13:43.
L'ultima modifica è del 14 marzo 2014 alle ore 20:24.

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La Consulta cancella con un tratto di penna le super-sanzioni contro i proprietari che affittano abitazioni in nero. La possibilità per l'inquilino di denunciare il padrone di casa, ottenendo un canone scontato, non esiste più. Anzi, è come se non fosse mai esistita.

La pronuncia
La Corte costituzionale, con la sentenza 50/2014, dichiara illegittimo l'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 23/2011. Sono le norme che permettevano all'inquilino di registrare di propria iniziativa il contratto d'affitto presso un qualsiasi ufficio delle Entrate, beneficiando di un canone annuo pari al triplo della rendita catastale (importo che in genere è del 70-80% inferiore ai valori di mercato), con una durata di quattro anni rinnovabili di altri quattro.
Secondo le disposizioni bocciate dalla Consulta, la registrazione poteva essere effettuata a cura dell'inquilino – ma anche da parte dei funzionari del Fisco o della Guardia di Finanza – in tutti i casi in cui il contratto d'affitto non era stato registrato entro il termine previsto dalla legge (di solito, 30 giorni dalla firma). E lo stesso succedeva quando il contratto era stato registrato indicando un importo inferiore a quello reale e quando, al posto di un contratto di locazione, era stato registrato un finto comodato gratuito.

Gli effetti
Le pronunce della Corte costituzionale hanno effetto anche per il passato. Quindi finiranno nel nulla anche i contratti che sono stati registrati dagli inquilini e dai funzionari del Fisco a partire dal 6 giugno 2011. Le super-sanzioni, infatti, sono scattate 60 giorni dopo l'entrata in vigore del decreto, che era il 7 aprile 2011. In pratica, i proprietari potranno chiedere agli inquilini di liberare l'abitazione, perché il contratto cadrà insieme alla norma di legge che lo prevedeva. Ma bisognerà anche regolare il periodo in cui il conduttore ha occupato l'alloggio: se è vero che il canone di legge non esiste più, il proprietario ha diritto a un'indennità per l'arricchimento senza causa, e alla fine potrebbe essere il giudice a risolvere la questione. Il rischio-caos è concreto, e già nel pomeriggio di venerdì il Sunia - il principale sindacato inquilini - ha invocato un chiarimento del Governo. Soddisfatte, invece, Confedilizia e le sigle della proprietà edilizia, secondo cui è stato ripristinato il principio della proporzionalità delle sanzioni. Restano ferme, comunque, le regole fiscali: chi ha affittato una casa in nero dovrà pagare le imposte non versate, le sanzioni e gli interessi.

Le motivazioni
Sette diversi tribunali – da Salerno a Firenze, da Genova a Palermo – avevano sollevato la questione di legittimità sulle norme poi bocciate dalla Corte. In particolare, diversi magistrati avevano lamentato la lesione della libertà contrattuale delle parti, che si vedevano imposti per legge la il contraente, la durata e il canone del contratto. I giudici costituzionali, però, hanno bocciato le super-sanzioni per difetto di delega: detto diversamente, la legge in base alla quale è stato emanato il decreto legislativo 23/2011 si occupava di federalismo fiscale, e le norme contro l'evasione degli affitti in nero sono andate oltre gli obiettivi che aveva fissato il Parlamento. Senza dimenticare lo Statuto del contribuente (articolo 10, comma 3) secondo cui la violazione di norme tributarie non può causare la nullità del contratto.

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