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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2014 alle ore 06:43.

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ROMA
Silvio Berlusconi non potrà candidarsi alle elezioni europee. Il no, senza se e senza ma, è arrivato ieri sera tardi dalla Cassazione, che ha confermato i 2 anni di interdizione dai pubblici uffici come pena accessoria della condanna a 4 anni di carcere (di cui 3 condonati dall'indulto) per la frode fiscale di 7,3 milioni di euro consumata nella vicenda Mediaset diritti Tv. Indipendentemente dall'incandidabilità prevista per 6 anni dal decreto Severino (lo stesso che ha fatto perdere all'ex premier il seggio di senatore), con la decisione di ieri Berlusconi è tagliato fuori da qualunque competizione elettorale per i prossimi due anni, oltre che dall'esercizio di qualunque funzione pubblica.
La terza sezione penale della Cassazione ha infatti respinto il ricorso del leader di Forza Italia contro la sentenza della Corte d'appello che aveva rideterminato in 2 anni (rispetto ai 5 inizialmente previsti) la durata della pena accessoria. In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, si può presumere che la Corte abbia accolto il ragionamento del Procuratore generale, che aveva concluso per la conferma della condanna. «Irrilevanti» o «manifestamente infondate» le questioni sollevate dall'imputato, aveva detto nel pomeriggio il Pg, secondo cui il ricorso doveva considerarsi addirittura inammissibile poiché «l'estinzione del debito tributario non è ancora avvenuta e non è stata chiesta neanche la rimessione in termini». Già i giudici di appello avevano sottolineato la gravità del danno provocato all'Erario dalla frode fiscale, che solo per i due anni sopravvissuti alla prescrizione ammonta a 7 milioni e 300mila euro.
Niente da fare, quindi, per la difesa di Berlusconi, rappresentata da Franco Coppi e Niccolò Ghedini (il quale ha espresso successivamente «amarezza» per il verdetto). Oltre a chiedere l'annullamento della condanna alla pena accessoria (o la riduzione a un anno), i legali avevano sollevato varie questioni di costituzionalità e depositato, a sorpresa, la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 4 marzo scorso sul caso di Franzo Grande Stevens e degli altri rappresentanti di società riconducibili alla galassia Fiat, come Ifil-Exor. Un caso che avrebbe attinenza con la vicenda Berlusconi perché, ha spiegato Coppi, affronta il tema della «cumulabilità delle sanzioni penali e rileva che qualora una sanzione accessoria, non importa se di natura penale o amministrativa, incida su diritti fondamentali, allora si deve giungere alla conclusione che ha natura penale e non può essere cumulata con un'altra sanzione simile, per il divieto del ne bis in idem». La Corte di Strasburgo ha affermato che «le sanzioni amministrative inflitte dalla Consob a Grande Stevens e agli altri imputati ammontavano a multe di milioni di euro e prevedevano anche la perdita di incarichi societari», per cui «la pesantezza economica e il riflesso sull'onorabilità degli imputati» hanno convinto Strasburgo che queste sanzioni avessero natura penale e non amministrativa. Secondo Coppi, «il caso del dottor Berlusconi è come quello di Grande Stevens perché sono identici gli effetti della legge Severino e dell'interdizione». Di qui la richiesta di trasmettere gli atti alla Corte europea, sospendendo l'udienza in attesa del verdetto. Richiesta bocciata dalla Cassazione.
Quanto alle questioni di incostituzionalità, Ghedini aveva contestato il decreto Severino per «difetto di delega» avendo omesso di coordinare (come prevedeva la legge) le diverse misure interdittive mentre Coppi aveva puntato il dito contro le norme che precludono l'estinzione di un debito fiscale societario a chi non ha la rappresentanza legale della società che ha evaso, creando così una «disparità di trattamento»: quelle norme avrebbero impedito a Berlusconi di estinguere il debito tributario per il quale è stato condannato - in quanto relativo a sue società, di cui però non aveva la rappresentanza legale - e quindi di evitare la pena accessoria dell'interdizione. Questioni «irrilevanti» ha sentenziato la Cassazione. E così diventa definitiva anche la condanna all'interdizione.
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LA VICENDA
La decisione della Cassazione
La Cassazione ieri ha confermato i 2 anni di interdizione dai pubblici uffici per Silvio Berlusconi come pena accessoria della condanna a 4 anni di carcere per la frode fiscale di 7,3 milioni di euro consumata nella vicenda Mediaset diritti Tv
La richiesta della difesa
Oltre a chiedere l'annullamento della condanna alla pena accessoria (o la riduzione a un anno), i legali di Berlusconi avevano sollevato varie questioni di costituzionalità e depositato, a sorpresa, la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 4 marzo scorso sul caso, tra gli altri, di Franzo Grande Stevens

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