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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2014 alle ore 21:46.
L'ultima modifica è del 21 marzo 2014 alle ore 08:00.

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(LaPresse)(LaPresse)

Le banche americane superano a gonfie vele il nuovo stress test della Federal Reserve, che trova il settore «meglio posizionato di cinque anni or sono per continuare a offrire prestiti a famiglie e aziende e per rispettare gli impegni finanziari davanti a rovesci economici estremamente gravi». I risultati «continuano a riflettere ampi progressi nella loro posizione di capital dalla crisi finanziaria» del 2008.

Gli esami sono stati condotti sulle 30 principali banche e finanziarie americane, quelle con oltre 50 miliardi di dollari di asset e che comprendono da JP Morgan a Citigroup, da Wells Fargo a Goldman Sachs e a American Express. Tutte con una sola eccezione, l'istituto regionale Zions Bancorporation, hanno passato il test, mantenendo sempre una capitalizzazione Tier 1 superiore al 5 per cento. La più debole tra le banche di maggior prestigio davanti a una nuova drammatica recessione è Bank of America, con una capitalizzazione Tier 1 che scenderebbe fino al 6 per cento. Meglio, in progressione, fanno Morgan Stanley con il 6,1%, JP Morgan con il 6,3%, Goldman con il 6,8%, Citigroup con il 7% e Wells Fargo con l'8,2 per cento. Le migliori sono State Street con il 13,3% e Bank of New York Mellon con il 13,1 per cento. (Leggi il documento)

Prescritti oggi anche per legge dalla riforma finanziaria Dodd-Frank, i test sono ormai giunti alla quarta edizione con l'obiettivo di ovviare all'eccessiva fragilità dimostrata dagli istituti di credito durante la crisi del 2008. Sono suddivisi in due parti: quello adesso uscito è solo il primo giudizio sulla solidità in presenza di nuovi collassi economici, un test battezzato DFAST. Nelle circostanze peggiori delineate dalla Fed è previsto un crollo del 50% del mercato azionario, una contrazione del Pil del 4,75%, una disoccupazione all'11,25% e prezzi immobiliari in calo del 35 per cento. La Fed ha stimato che in presenza di un simile scenario le perdite collettive nell'arco di nove trimestri ammonterebbero a 501 miliardi, con 366 miliardi di perdite sui prestiti (e nello scenario meno drammatico a 267 miliardi). Ma il livello di capitalizzazione Tier 1 scenderebbe complessivamente soltanto dall'11,5% del terzo trimestre 2013 ad un minimo del 7,6 per cento.

La prossima settimana, il 26 marzo, toccherà però alla seconda parte dell'esame della Fed, la Comprehensive Capital Analysis & Review (CCAR). Allora è atteso un verdetto ancora più delicato: quello sulle strategie delle banche, sui piani che hanno presentato per l'utilizzo futuro di capitali, da aumenti del dividendo per agli azionisti a buyback di titoli. La Fed deve valutare se possono permettersi questo uso delle risorse senza compromettere la loro salute, altrimenti potranno essere respinte o costrette a presentare progetti emendati. La Fed, nella combinazione delle due parti degli stress test, vede inoltre uno strumento efficace non solo di controllo finanziario ma di supervisione del management del settore. «Non si tratta solo di valutare la solidità dei bilanci», ha detto Marc Saindenberg, ex alto funzionario della Banca centrale. «È anche uno strumento significativo per esaminare la qualità della gestione del rischio, degli espoenti del board e dei top executive».

In passato le bocciature non sono mancate, dando credibilità alle procedure delle autorità statunitensi. L'anno scorso la Fed aveva respinto i piani di Ally Financial e di BB&T e chiesto revisioni a American Express. Goldman Sachs e JP Morgan erano state chiamate a riforme di punti deboli. Quest'anno, oltretutto, non mancano semmai termini più severi per i test: la Fed ricorre a propri modelli completamente indipendenti per misurare le entrate, i profitti e gli asset, senza affidarsi alle stime e ai modelli delle banche stesse.

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