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Questo articolo è stato pubblicato il 21 marzo 2014 alle ore 06:42.

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BRUXELLES. Dal nostro inviato
Ha, di fatto, ribaltato la logica fin qui seguita dai suoi predecessori, ossia chiedere il permesso di Bruxelles per varare misure economiche nazionali con effetti sulla disciplina fiscale. Il premier Matteo Renzi ha vissuto ieri la più problematica giornata del suo tour europeo rompendo il tradizionale schema di dialogo con le istituzioni comunitarie. Il presidente del Consiglio, all'esordio di un vertice europeo, dopo l'incontro di 90 minuti con il presidente uscente della Commissione, Jose Manuel Durao Barroso, ha evitato abilmente di farsi intrappolare nel negoziato diabolico sui decimali e gli «sforamenti» più o meno temporanei facendo tesoro dei suggerimenti dell'ex "nemico" Massimo D'Alema per il quale l'Italia vada pure avanti con le riforme; se serve si discuterà con la nuova Commissione la riapertura di una nuova procedura di infrazione. Renzi non ha quindi chiesto «deroghe» come pure aveva suggerito in mattinata il presidente della Conferenza Stato Regioni, Vasco Errani anche se per le quote nazionali dei progetti confinanziati dall'Unione europea. Ha, anzi, trattato Barroso come di solito un azionista (grande o piccolo che sia) tratta un suo amministratore delegato, con rispetto ma anche una certa distinzione di ruoli e responsabilità. Se negoziato ci deve essere, sembra essere la logica di Renzi, questo va avviato con le altre cancellerie, con Berlino e Parigi. Formalmente ha anche incassato un teewt positivo dello stesso Barroso secondo il quale l'incontro «è andato molto bene». Se a ciò si aggiunge il fatto che Barroso sta guidando per le ultime settimane una Commissione alle ultime battute in vista delle elezioni europee del 25 maggio si ha chiaro il clima della giornata di ieri.
Che Renzi rappresenti una novità nel panorama politico europeo lo hanno capito perfettamente sia Barroso che il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy. I due, in un siparietto durante la conferenza stampa, hanno risposto a una domanda di un giornalista italiano per sapere se le riforme di Renzi e una maggiore flessibilità sui parametri del deficit potrebbero sconfiggere l'euroscetticismo. Immediato uno scambio di sorrisetti tra Barroso e Van Rompuy che ha fatto subito tornare in mente quello ormai famoso tra Sarkozy e la Merkel relativo a Silvio Berlusconi. Ed è toccato comunque a Van Rompuy ricordare che «tutti devono continuare ad applicare le regole concordate».
Renzi si è sentito talmente sicuro del suo "modus operandi" che ha liquidato bruscamente i giornalisti che gli chiedevano dettagli sull'incontro con Barroso dicendo: «Non devo convincere voi della bontà della linea del governo ma spiegare alle famiglie italiane che l'Europa non è causa dei loro problemi». Poi un profluvio di slogan: «L'Italia non viene in Europa come uno studente fuori corso ma come un Paese fondatore che rispetta i vincoli». Oppure: «Non discutiamo dello zero virgola ma del percorso di riforme in atto. Le riforme sono più importanti delle discussioni su uno 0,2% di deficit». Sui conti pubblici: «Fa fede la conferenza stampa della settimana scorsa e tra pochi giorni ci sarà il Def». Le coperture per le riforme annunciate «sono fuori discussione, sono fuori dubbio». E Il governo «sta rivoluzionando e cambiando l'Italia».
Alla fine della prima giornata del vertice Renzi può dire di avere incassato anche un significativo endorsement del presidente dell'Europarlamento e candidato del Pse alla presidenza della Commissione Martin Schulz: «Matteo Renzi è un amico, spero che ce la faccia con le riforme. Questo vuol dire sostenere l'Italia a uscire dalla crisi, sostenere la crescita e soprattutto l'occupazione, e io lotto con Renzi per questo». Il rispetto dei parametri di Maastricht «non è in discussione ma bisogna discutere se gli investimenti per la crescita vadano o meno contabilizzati nel debito».
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