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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2014 alle ore 09:32.
L'ultima modifica è del 22 marzo 2014 alle ore 16:57.

Un ragazzo mostra la bandiera sovietica sulla via Lenin di SebastopoliUn ragazzo mostra la bandiera sovietica sulla via Lenin di Sebastopoli

Lo ascoltiamo dall'Ipad pranzando nel ristorantino vegetariano alternativo sotto casa, un auricolare per ciascuno per non disturbare perché, almeno qui, nessuno sembra interessato. Putin chiede ai tedeschi, agli americani, agli europei di capire. Questa volta non ci riesco. Abbiamo sempre insistito che, con i russi, bisogna mettersi nei loro panni, immaginare il loro punto di vista, comprendere cosa significa perdere un impero. Non farli sentire umiliati. Perché poi, se si sentono umiliati, reagiscono così.
Portarsi via la Crimea in poche ore, fino all'ultimo eravamo convinti che Putin non sarebbe arrivato a tanto. Avrebbe potuto trovare una via di mezzo, parlare di autonomia e federalismo, trattare, non è così che si fa nel nuovo sistema globale? Quelle parole al Cremlino sono una doccia fredda. È stato in quel momento, uscendo per strada, che ho visto il passaggio. Eravamo in Russia, e l'Ucraina sembrava già lontana.
E ora ai volti dei russi che festeggiano in piazza si sovrappongono quelli preoccupati degli ucraini rimasti in Crimea, un ragazzo che chiede che ne sarà della sua tesi scritta nella lingua sbagliata, il colonnello prigioniero nella base di Bakhchisaraj perché fedele al giuramento prestato all'Ucraina. I volti dei tartari, angosciati dall'incubo delle persecuzioni passate: «Non potremo mai fidarci di nuovo della Russia», ci ha detto il presidente del Majlis di Bakhchisaraj.

È ora di tornare. Da giorni ormai l'aeroporto di Simferopoli nega il permesso di volare alle linee ucraine, a quelle turche, si può andare solo a Mosca. Cosa che naturalmente nessuno comunica, chi perde il volo si arrangi, puro stile sovietico. Alla stazione ferroviaria su una parete c'è una grande cartina dell'Ucraina, quanto la lasceranno lassù? Prendono ancora le grivne, al chioschetto dei panini, e le indicazioni per tornare in città sono ancora in ucraino, ma è come vivere in un mondo che non c'è già più. La sensazione provata 23 anni fa, i giorni in cui l'Urss diventava Russia. Dove abbiamo sbagliato, noi e loro? Allora ci eccitava la speranza che Russia e Occidente si sarebbero avvicinati, compresi di più. Questa Russia venuta senza bussare in Crimea invece si è girata dall'altra parte, e sta andando via.

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