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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2014 alle ore 17:07.

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Che il Sistri fosse destinato ad avere per compagna di viaggio una stella quantomeno problematica poteva essere chiaro già agli inizi, quando la procedura di affidamento del contratto, per decisione del governo (all'epoca di centrosinistra), venne coperta dal segreto di Stato. Non che ne mancassero le ragioni, considerato che la tracciabilità del rifiuti coinvolge anche (ma non "solo") come la storia ha poi dimostrato, interessi di associazioni criminali, tuttavia da subito il mondo delle imprese aveva rimarcato la mancanza di funzionalità, di chiarezza e di "buona utilizzabilità " di una struttura informatica obiettivamente strana e che, soprattutto, non funzionava proprio.

E non erano ragioni pretestuose, quelle sollevate dalla platea di mezzo milione di destinatari (dal parrucchiere di quartiere alla grande azienda chimica), visto che a partire dall'estate del 2010 i ministri via via succedutisi all'Ambiente hanno dovuto alzare ripetutamente bandiera bianca e dichiarare una teoria di slittamenti e proroghe da guinness del tentennamento. Nel mezzo non si può dimenticare l'esito disastroso del click day del 2011, quando – esattamente come paventato dalle associazioni imprenditoriali – l'intera struttura Sistri collassò in pochi minuti sotto il peso, annunciato, delle operazioni inviate telematicamente da migliaia di aziende. Una prova generale che costrinse il ministro Stefania Prestigiacomo all' inevitabile e ormai abituale indietro tutta.

Per non parlare della mancata armonizzazione - "interoperatività" - del linguaggio informatico di Sistri rispetto a quello di amministrazione delle imprese, costrette ad adattarsi alle procedure "legnose" di Sistri, con dispendio di tempo, denaro e nervosismo. Quanto ai costi del sistema digitale di tracciabilità dei rifiuti, basti ricordare che la tassa (ufficialmente "contributo") iniziò a essere pagata obbligatoriamente dall'inizio, per un servizio che non veniva (e non è stato ancora mai) erogato. E ancora, chi può dimenticare i costi sostenuti dalle imprese per dotare i mezzi aziendali delle famose black box e delle chiavi Usb, accompagnate dai leggendari problemi di funzionamento?

Se c'è una cosa che la "sfortunata" storia di Sistri può insegnare, dopo cinque anni di calvario, è che le rivoluzioni culturali – la tutela dell'ambiente e della salute sono beni assolutamente primari - si possono e si devono fare, ma con punti di partenza e di sviluppo condivisi. E soprattutto trasparenti.

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