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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2014 alle ore 11:10.
L'ultima modifica è del 25 marzo 2014 alle ore 11:13.

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La mossa era attesa. Il declassamento del Brasile non ha sorpreso dunque nessuno: era noto che la Standard & Poor's, a differenza di Moody's e di Fitch, era molto critica sulla politica economica del paese. Hanno sorpreso i tempi, poco prima delle elezioni presidenziali di ottobre: «C'era la possibilità che la S&P aspettasse fino a dopo il voto», ha spiegato alla Reuters, Alberto Ramos, analista della Goldman Sachs.

Il nuovo voto è davvero bassino: BBB- è il minimo tra i rating "da investimento". L'agenzia ha modificato il suo orientamento da negativo a stabile e questo significa che non ci saranno ulteriori declassamenti nel prossimo futuro. Così come né Moody's né Fitch sembrano aver intenzione di abbassare il loro voto, superiore a quello della S&P.

I motivi della retrocessione sono tutti legati alla politica fiscale: il deficit pubblico, associato a quello dei conti con l'estero, spaventa gli investitori. In questo senso, la Standard & Poor's, come sempre avviene con i rating dei grandi paesi, aggiunge poco di nuovo a quanto i mercati non conoscano. La credibilità fiscale, spiega la S&P, è stata «sistematicamente indebolita» dalle continue variazioni degli obiettivi del governo. Il declassamento, allora, «riflette la combinazione degli scivoloni fiscali, delle prospettive che l'esecuzione delle politiche fiscali resterà debole mentre la crescita sarà debole nei prossimi anni, della limitata capacità di correggere le politiche prima delle elezioni presidenziali di ottobre e di un certo indebolimento dei conti con l'estero del Brasile».

Nulla di ignoto ai mercati. Gli effetti maggiori della decisione sono quindi legati ai vincoli, che alcuni prodotti finanziari adottano, sulla qualità dei bond e dei titoli da tenere in portafoglio. Il declassamento sarà piuttosto adottato dai rivali politici del presidente Dilma Roussef: il leader dell'opposizione Aécio Neves ha spiegato che la bocciatura è legata alle «manipolazioni» dei conti pubblici, dalla spesa pubblica «esorbitante» e dall'«indulgenza» nei confronti dell'inflazione.

La reazione del governo è stata immediata. «L'economia brasiliana ha una bassa vulnerabilità esterna perché sono la quinta, nell'ambito del G-20, per riserve valutarie», ha spiegato in un comunicato il ministero delle Finanze. «È stato un errore», ha aggiunto Octavio de Barros, capo economista della banca privata Bradesco. «Considerando gli indicatori di solvibilità internazionale, il Brasile ha già un rating più basso di paesi simili».
Il Brasile è in ogni caso una delle economie emergenti in difficoltà: uno dei "cinque fragili", fragile five), insieme a Turchia, India, Sud Africa e Indonesia. Fragili perché troppo dipendenti dai finanziamenti esteri, che hanno messo a dura prova le rispettive valute nei recenti episodi di turbolenza. Il doppio deficit – fiscale e corrente con l'estero – segnala infatti un bisogno di finanziamenti dall'estero che potrebbero progressivamente scarseggiare. Il vero rischio del Brasile non riguarda però il mercato: è il razionamento dell'energia, che sembra sempre più probabile per il basso livello dei bacini che servono le centrali idroelettriche. Una simile decisione avrebbe un impatto forte sulla crescita – almeno 1,9 punti percentuali in meno secondo David Beker di BoA Merrill Lynch – e sulle entrate fiscali.

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