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Questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2014 alle ore 13:36.

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La Procura di Roma ha presentato appello contro la sentenza di assoluzione dell'ex ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola e dell'imprenditore Diego Anemone, in relazione alla vicenda della compravendita di un appartamento in via del Fagutale, a pochi passi dal Colosseo. Il giudice monocratico il 27 gennaio scorso ha assolto Scajola dall'accusa di finanziamento illecito mentre ha prosciolto Anemone per prescrizione del reato. Il ricorso in appello è stato firmato dal procuratore aggiunto Francesco Caporale e dai sostituti Ilaria Calò e Roberto Felici.

«Non sono condivisibili né in fatto né in diritto» le considerazioni del tribunale di Roma che ha assolto, nel gennaio scorso, l'ex ministro Claudio Scajola dall'accusa di finanziamento illecito e prosciolto, per prescrizione del reato, l'imprenditore Diego Anemone, sotto processo per la compravendita nel 2004 dell'immobile di via del Fagutale, a due passi dal Colosseo, e l'esecuzione di alcuni lavori di ristrutturazione. La procura di Roma, che aveva chiesto la condanna dei due imputati a tre anni di reclusione, ha deciso di impugnare la sentenza del giudice Eleonora Santolini «perché la motivazione appare viziata da illogicità e travisamento del fatto».

Assolvere Scajola sostenendo, come ha fatto il giudice di primo grado, che «era inconsapevole» che Anemone avesse concordato tempo prima con le proprietarie dell'appartamento le modalità dell'ulteriore pagamento (200mila euro al momento del preliminare più altri 900 al rogito a fronte di 600mila effettivamente versati dall'ex ministro dello Sviluppo Economico), significa per la procura dare dell'intera vicenda «una lettura superficiale ed acritica», essendo «modellata sulla configurazione nemmeno paragonabile ad 'uomo mediò ma piuttosto ad uno sprovveduto in balia degli eventi». Per i pm Ilaria Calò e Roberto Felici e per l'aggiunto Francesco Caporale, Scajola é «indiscutibilmente un uomo politico di grande esperienza che ricopriva al momento del fatto un incarico di vertice ai massimi livelli istituzionali». Un ruolo che «sarebbe stato incompatibile con l'eccezionale ingenuità e straordinaria mancanza di accortezza, consapevolezza, presenza a se stessi e senso della realtà delineate dal giudice nel tratteggiare la figura del parlamentare Scajola quale beneficiario inconsapevole di una somma della portata di un milione e centomila euro».

In relazione all'assenza di Scajola al momento del rogito, come sottolineato dal tribunale, per l'acquisto dell'appartamento, i magistrati della procura sostengono che «non sussiste alcuna plausibile ragione, neanche si trattasse del più importante uomo di Stato, per cui l'acquirente di un immobile di ingente valore non debba presenziare alla stipulazione dell'atto pubblico in tutte le sue fasi. La circostanza dell'eventuale assenza voluta dello Scajola avrebbe dovuto essere sussunta dal giudice non già come prova della sua ritenuta inconsapevolezza bensì all'esatto contrario, come prova della sua malizia». Insomma «tale manovra diversiva - si legge nell'atto di impugnazione - non può altrimenti giustificarsi se non come estrinsecazione della volontà di precostituirsi la prova di una presunta inconsapevolezza di ciò che stava accadendo». Per i pm, infine, appare «illogica» la tesi prospettata dal giudice che, nel tentativo di giustificare perché «Anemone abbia contributo in modo così determinante all'acquisto dell'immobile senza che il beneficiario ne sapesse alcunché», ha delineato «uno Scajola quale vittima inconsapevole di una trama ordita dallo stesso Anemone per l'erogazione, suo malgrado e a sua insaputa, della somma, semplicemente per 'metterlo di fronte al fatto compiutò nell'ottica eventuale di una futura e ipotetica richiesta di favori». Si tratta, per la procura, di «una ricostruzione» poco credibile.

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