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Questo articolo è stato pubblicato il 01 aprile 2014 alle ore 08:16.

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Shinzo AbeShinzo Abe

TOKYO – Mentre i ciliegi sono in piena fioritura, il primo aprile 2014 porta in Giappone una sgradita novità: più tasse. Per la prima volta, dopo una lunga serie di politiche espansive sul fronte degli stimoli sia fiscali sia monetari, il Governo del premier Shinzo Abe ha promosso l'introduzione di una misura penalizzante per l'economia: l'aumento dell'imposta sui consumi dal 5 all'8 per cento. Per gli standard europei, sarebbe un sogno avere l'Iva all'8 per cento. Per il Giappone, però, è pur sempre un rialzo di circa il 60% in un contesto in cui la popolazione fatica ad abituarsi all'idea di una crescita di prezzi, bollette e imposte indirette.

La maggior parte degli economisti prevede che nel secondo trimestre di quest'anno l'economia nipponica si contrarrà, probabilmente nell'ordine di un 3,5% annualizzato, propria a causa dell'aumento della pressione fiscale sui cittadini che – in contemporanea all'arrivo dell'inflazione (oggi all'1,3% e in predicato, secondo gli obiettivi della banca centrale, di salire al 2%) – ridurrà il potere di acquisto e provocherà quindi un calo dei consumi. A sua volta, questa prospettiva è destinata a rendere più guardinghe le imprese (come evidenziato oggi dal rapporto Tankan: la loro "fiducia" è messa a dura prova). I consumi costituiscono il 60% dell'economia e una loro tenuta è quindi indispensabile per il target del Governo di conseguire una crescita sostenibile. La picchiata del Pil aprile-giugno, peraltro, sarà accentuata dal fatto che, in anticipazione del rialzo dell'Iva, ci sono stati fenomeni di corsa agli acquisti, specialmente di beni durevoli. Sono comparse code, negli ultimi giorni, persino nei negozi che vendono lingottini di oro: il metallo giallo, evidentemente, è considerato da non pochi (a dispetto del calo dei prezzi dell'anno scorso) come uno strumento idoneo, tutto sommato, a proteggere dall'inflazione.

Siamo dunque a un punto cruciale per l'Abenomics, l'insieme delle politiche per la crescita promosse dal premier. Abe, per inciso, non aveva nessuna voglia di aumentare l'Iva, ma non ha resistito alle pressioni dei mandarini del ministero delle Finanze, che gli hanno fatto notare come fosse ormai diventata una promessa internazionale del Paese quella di rafforzare le fonti delle entrate fiscali per fronteggiare l'indebitamento pubblico più alto tra tutti i Paesi industrializzati.

La questione principale riguarda la durata – oltre che l'entità – delle conseguenze negative sulla congiuntura. Se la contrazione del Pil si prolungherà al terzo trimestre, il Governo avrò lo smacco di far subire al Paese una recessione, che avrebbe conseguenze pesanti a largo raggio (compresa una Borsa già reduce da un primo trimestre molto negativo, con un calo del 9% dell'indice Nikkei legato in parte ai crescenti dubbi sull'efficacia dell'Abenomics e della sua portata riformatrice). Due sono le principale carte a disposizione per evitare questo scenario. Dopo una manovra di mini-stimolo con nuovi lavori pubblici, a giugno sarà annunciato un piano organico di riforme sistemiche che darà corpo alla cosiddetta "terza freccia" dell'Abenomics: se sarà convincente, molti investitori internazionali potrebbero tornare a scommettere sui titoli del Topix. C'è poi la banca centrale, che potrebbe procedere a ulteriori allentamento della politica monetaria al fine di puntellare l'economia. Gli analisti sono divisi. Alcuni prevedono che nel terzo trimestre la ripresa ci sarà, come del resto avvenne quando nel 1997 l'Iva fu alzata dal 3 al 5%. Per a verità, il paragone inquieta, visto che in quell'anno, dopo un secondo trimestre negativo e un terzo di recupero, arrivò una grande recessione, provocata dalla crisi valutaria asiatica e dal crack di varie istituzioni finanziarie giapponesi.

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