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Questo articolo è stato pubblicato il 01 aprile 2014 alle ore 06:36.

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MILANO
Il processo a Silvio e Paolo Berlusconi sulla telefonata tra Piero Fassino e Giovanni Consorte pubblicata sulle pagine del Giornale all'epoca della scalata di Unipol a Bnl finisce con una prescrizione. Dopo due ore di camera di consiglio i giudici della seconda Corte d'Appello di Milano hanno dichiarato il «non luogo a procedere in ordine ai reati ascritti» ai due fratelli per intervenuta prescrizione. I giudici hanno confermato la responsabilità penale del leader di Forza Italia e dell'editore del Giornale respingendo la richiesta di assoluzione nel merito avanzata dalle difese e accogliendo la tesi del sostituto procuratore generale Daniela Meliota. Silvio Berlusconi era stato condannato in primo grado a un anno di carcere per concorso in rivelazione di segreto d'ufficio. Il fratello Paolo, per lo stesso reato, a due anni e tre mesi. I giudici della corte d'Appello hanno anche confermato il risarcimento di 80mila euro a Fassino, ex segretario dei Ds a attuale sindaco di Torino, parte civile nel processo.
Che si arrivasse alla prescrizione era ormai una certezza. Anche il sostituto procuratore generale, rappresentante dell'accusa, aveva chiesto ai giudici di dichiarare la prescrizione del reato, ma non l'assoluzione nel merito: «Sarebbe un non senso giuridico – aveva sostenuto – dire che c'è l'evidenza della conclamata innocenza dei due imputati», condannati in primo grado il 7 marzo dell'anno scorso. La responsabilità di Silvio e Paolo Berlusconi era stata sottolineata anche dal difensore di Fassino, l'avvocato Carlo Federico Grosso, secondo il quale sarebbe «impensabile» sostenere che la pubblicazione sul Giornale dell'intercettazione sia avvenuta «senza l'avallo di Silvio Berlusconi». Grosso aveva osservato che «la segretezza era rilevante perché la telefonata non era stata nemmeno sbobinata», e che la sua pubblicazione non solo aveva danneggiato «il segretario del maggiore partito avverso» ma era avvenuta in un momento politico particolare: pochi mesi dopo, infatti, ci furono le elezioni vinte, poi, dal centrosinistra».
Niccolò Ghedini e Piero Longo (difensori di Silvio Berlusconi) e Federico Cecconi (legale di Paolo) avevano chiesto l'assoluzione nel merito, negata poi dai giudici della Corte d'Appello. «Prendiamo atto di questa decisione e attendiamo di leggere le motivazioni», hanno dichiarato Cecconi e Longo al termine del processo.
Nel 2005, nel pieno dell'estate dei "furbetti del quartierino" e del risiko bancario che portò Unipol a un passo dall'acquisizione di Bnl, venne intercettata una telefonata tra l'allora segretario dei Ds Fassino e il numero uno di Unipol Consorte. «Allora abbiamo una banca?», domandava Fassino al suo interlocutore. Il file della telefonata – non ancora trascritto e quindi segreto – fu memorizzato su una pen drive da Roberto Raffaelli, titolare della Research Control System, società che aveva ricevuto dalla procura di Milano l'appalto per la fornitura delle apparecchiature di intercettazione. Raffaelli si era rivolto ad altri due imprenditori, Fabrizio Favata ed Eugenio Petessi, e insieme avevano contattato Paolo Berlusconi per offrire all'ex premier un "regalo" che avrebbe potuto essere utilizzato a vantaggio del centro-destra. La trascrizione della telefonata fu pubblicata il 31 dicembre 2005 sul Giornale. Secondo i giudici di primo grado quello dell'ex presidente del Consiglio fu un «ruolo decisivo» nella pubblicazione della conversazione. Come è scritto nelle motivazioni della sentenza, quella conversazione, di cui era nota «la natura segreta» e il cui contenuto venne «sfruttato politicamente», non sarebbe stata resa pubblica senza l'«apporto» dell'ex premier e senza il suo «benestare».
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