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Questo articolo è stato pubblicato il 02 aprile 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 14:53.

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La risposta dell'Alleanza atlantica all'intervento russo in Crimea è la sospensione di ogni forma di cooperazione civile e militare con Mosca. Una decisione, presa ieri a Bruxelles dai 28 ministri degli Esteri della Nato, aggravata dalla constatazione che al segretario generale Anders Fogh Rasmussen non risultano segnali che le forze russe abbiano davvero allentato la presa sui confini con l'Ucraina. «Sfortunatamente non posso confermare un ritiro delle truppe russe, non lo vediamo», ha detto Rasmussen. Il giorno prima, lunedì, era stato lo stesso Vladimir Putin, al telefono con Angela Merkel, a parlare del rientro di un primo battaglione impegnato vicino a Rostov-sul-Don.

Il cancelliere tedesco lo ha confermato, spiegando di «non aver ragione di dubitare» della parola di Putin. E tuttavia, ha detto Angela Merkel, la riduzione di cui ha parlato il presidente russo non è sufficiente: nella regione ci sono comunque troppi soldati. Secondo una fonte militare Nato citata da Reuters, le forze mobilitate ai confini con l'Ucraina - fanteria motorizzata, blindati, forze speciali, unità logistiche e «un gran numero di aerei ed elicotteri» - sono di circa 35-40mila uomini.

Per questo la Nato intende studiare nuovi passi a sostegno dei Paesi membri dell'Europa orientale e dei Baltici, che improvvisamente si sentono più vulnerabili. «Con le sue azioni - ha detto ancora Rasmussen - la Russia ha minato i principi su cui è costruita la nostra partnership, e ha infranto i propri impegni internazionali. Non possiamo fare come se niente fosse». I passi che l'Alleanza sta studiando vanno dall'intensificazione delle esercitazioni militari all'istituzione di basi permanenti vicino ai confini con la Russia. E se gli alleati hanno fatto capire chiaramente di non prevedere interventi militari a eventuale difesa dell'Ucraina, la cooperazione con Kiev verrà rafforzata: in Europa non c'è unità di vedute, però, sul limite che potrebbe raggiungere questo legame.

Ieri Mosca è tornata a lanciare avvertimenti contro l'integrazione dell'Ucraina nella Nato, eventualità che la stessa Germania, insieme alla Francia, intende scartare. A Weimar, dove ha avuto un incontro con il collega francese Laurent Fabius e con il polacco Radoslaw Sikorski, il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha detto di non vedere «una via verso l'adesione» di Kiev alla Nato: «Siamo tutti determinati - ha detto il ministro tedesco - a non consentire la minaccia di una nuova divisione dell'Europa». Posizione che Angela Merkel è parsa appoggiare rinviando alla dichiarazione di Arseniy Yatsenyuk, il premier ucraino che ha chiarito come per il momento l'adesione alla Nato non sia nei programmi del governo.

Ma le parole di Steinmeier si sono attirate l'ira di Rasa Jukneviciene, ex ministro della Difesa della Lituania: «Questo tipo di discorsi - ha affermato - spingono l'Ucraina indietro verso la Russia e aumentano l'appetito del Cremlino».
Che per il momento, attraverso Gazprom, va all'offensiva in Ucraina sul fronte dell'energia, ora che non vede più motivo di offrire a Kiev lo sconto sul gas accordato in dicembre a Viktor Yanukovich in cambio della rinuncia all'Accordo di associazione alla Ue. La tariffa agevolata ha resistito un solo trimestre e oggi, in base a una clausola del contratto che prevedeva revisioni trimestrali, il colosso russo del gas ha annunciato un aumento del 44%, portando il prezzo di mille metri cubi da 268,5 a 385,5 dollari.

L'aumento, ha dichiarato Gazprom, è giustificato dai debiti accumulati da Naftogaz - la compagnia energetica ucraina - sulle forniture del 2013. «L'Ucraina - ha dichiarato l'amministratore delegato di Gazprom, Aleksej Miller - non ha mantenuto l'impegno di saldare il debito per il gas distribuito nel 2013. Inoltre non ha pagato l'intera somma degli approvvigionamenti correnti. A oggi, il debito ammonta a 1,711 miliardi». Alla disperata ricerca di aiuti internazionali che la allontanino dalla bancarotta, Kiev si ritrova ad affrontare tariffe anche superiori alla media europea nel momento in cui il nuovo governo - proprio per rispondere alle richieste dei futuri donatori - ha accettato di aumentare i prezzi interni sussidiati applicati alle famiglie, ormai insostenibili per i conti pubblici.

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