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Questo articolo è stato pubblicato il 02 aprile 2014 alle ore 12:21.
L'ultima modifica è del 02 aprile 2014 alle ore 12:22.

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L'attesa era tanta: l'Inps comunica al ministero del Lavoro la fotografia su numero di pensionati e importi percepiti, e si scopre che gli assegni super-ricchi, quelli cioè di oltre 24mila euro al mese, sono appannaggio di appena 291 persone (per una spesa di 115 milioni su un totale di 270,5 miliardi di costo pensionistico complessivo per le casse dell'Erario). Praticamente, rappresentano lo 0,04%.

L'anno di riferimento è il 2012; i dati contenuti nel report voluto dal ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, nell'ottica di un possibile intervento sulle cosiddette "pensioni d'oro", sono estremamente interessanti, ed evidenziano, di fatto, come sia piuttosto modesto il numero di pensionati particolarmente ricchi. E quindi un eventuale intervento con finalità redistributive rischierebbe di muovere una massa salariale non sufficiente per un riequilibrio di grandi dimensioni (volto cioè a innalzare gli assegni di importo più basso). Ovviamente molto dipende anche dall'asticella che si pensa di mettere e dalla quale poi dovrà scattare l'eventuale prelievo a finalità redistributive.

Guardando infatti i dati forniti dall'Inps si vede come i percettori di assegni da 10mila a 15mila euro al mese non superano le 7.500 unità (sono per la precisione 7.448 persone). Una goccia nel mare rispetto ai 16,5 milioni di pensionati 2012. Non solo. Per questa fascia di persone la spesa complessiva è di poco superiore al miliardo (1,1 miliardi). E cioè lo 0,4%.

I pensionati che percepiscono assegni da 10 e 11 volte il trattamento minimo (cioè da 4.810,01 euro a 5.291 euro al mese) sono 51.841. Un assegno più ricco da 5.772 euro a 6.253 euro è appannaggio di 26.953 persone; mentre nella fascia tra gli 8mila euro e i 10mila euro si collocano poco più di 12mila pensionati.

Sopra i 20.202,01 euro al mese (42 volte il minimo) si collocano appena 540 pensionati.
Ipotizzando di considerare "d'oro" gli assegni sopra i 4.810,01 euro al mese (10 volte il minimo) la platea delle persone interessate arriva quasi a quota 190mila. Sono esattamente 188.140 unità, con una spesa totale poco oltre i 15,4 miliardi, il 5,6% degli oltre 270,4 miliardi della spesa complessiva sostenuta per il capitolo pensioni nel 2012.
Il grosso dei pensionati viaggia con assegni mensili fino a 3 volte il minino, e cioè fino a 1.443 euro al mese. Sono in totale 11.290.991 e costano all'Erario 114.635.325.207 euro. Nella fascia tra 3 e 5 volte il minimo (da 1.443,01 euro a 2.405 euro mensili) si collocano 3.813.942 pensionati, per una spesa di 90,7 miliardi. Praticamente solo queste due fasce di persone, poco più di 15 milioni di unità, costano 205,3 miliardi, il 76% della spesa pensionistica complessiva.

Di qui gli approfondimenti che si stanno facendo al ministero del Lavoro. Non solo per capire dove mettere l'asticella per un eventuale prelievo (dopo lo stop della Consulta al contributo di solidarietà); ma anche dal punto di vista normativo. Su questo terreno, allo studio dei tecnici ci sono diverse ipotesi, formulate per superare lo scoglio della sentenza della Corte costituzionale. Di tutte si stanno analizzando i pro e i contro.

Una prima opzione è quella di rendere strutturale il blocco delle perequazioni delle pensioni più alte (già ora temporaneamente non sono indicizzate al costo della vita). Si tratta di un intervento di emergenza che potrebbe essere reso strutturale per le pensioni più alte, progressivamente, per arrivare fino agli assegni altissimi che potrebbero rimanere fermi in termini nominali e non più aumentati. «Una misura minimale – aveva detto nei giorni scorsi il sottosegretario al Lavoro, Carlo Dell'Aringa – ma che nel medio periodo produce comunque effetti notevoli».

Un'altra strada – oggetto di uguali approfondimenti – è il fondo alimentato pure da un contributo a carico delle prestazioni più elevate (per innalzare gli assegni più bassi) indicato sul «Sole 24 Ore» dall'ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, che insieme a Mauro Marè propone da tempo una correzione del sistema previdenziale contributivo.
Il punto è che per incidere sull'ammontare attuale serve un contributo di solidarietà che non venga bocciato dalla Corte costituzionale come tassa. Serve dunque un meccanismo di carattere perequativo per togliere a chi ha di più e dare a chi ha di meno. Un altro approfondimento che si sta facendo è verificare la differenza nelle pensioni alte tra quanto percepito sulla base del più favorevole sistema retributivo e quella che sarebbe stata se si fosse applicato il contributivo. Un possibile intervento passerebbe per ridurre la pensione di una parte di quella differenza e utilizzare il gettito per alimentare i trattamenti più bassi.

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