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Questo articolo è stato pubblicato il 04 aprile 2014 alle ore 08:39.

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NEW YORK - C'è la notizia: la decisione storica di un paio di giorni fa della Corte Suprema americana di eliminare il tetto alle donazioni politiche per un ciclo elettorale. E ci sono le conseguenze. In primis l'impatto sulle elezioni politiche del prossimo novembre, quando si dovrà rinnovare la Camera e oltre un terzo del Senato: i repubblicani avevano già la possibilità di recuperare la maggioranza nella Camera alta; ora, dopo la sentenza, le probabilità aumentano.

E c'è naturalmente l'impatto economico e finanziario: i donatori di grandi somme - parliamo di milioni di dollari - chiederanno e otterranno dai politici, che hanno aiutato ad eleggere, favori molto pratici in termini di regole, agevolazioni fiscali, riduzioni di certe rigidità in materia ambientale e così via. Nell'ordine è quest'ultimo livello, il terzo, quello più rilevante da un punto di vista pratico.

Al punto che banche e analisti stanno analizzando i possibili cambiamenti di scenari strategici per l'investimento. «La differenza qui è che, al contrario di quel che succede con i super Pac, i politici possono rivolgersi direttamente al grande donatore per ottenere i fondi. La decisione consentirà di indirizzare fondi su quei politici che a livello locale o nazionale esercitano influenza su movimenti come il Tea Party o attivisti ambientali. "Pac" sta per Political action committee, una sorta di consorzio elettorale per la raccolta di fondi da destinare a partiti, al sostegno di cause o movimenti (ad esempio il Tea Party). Un'altra decisione del 2010 della Corte Suprema aveva eliminato i tetti contributivi a questo tipo di consorzio o a organizzazioni sindacali. In teoria le regole del gioco erano valide per tutti ma il cambiamento ha favorito soprattutto le organizzazioni di tipo settoriale. In generale ci sono quasi 5mila Pac in America, ma quellli mirati sull'economia sono circa 1.600; dal punto di vista operativo 272 sono riconducibili a organizzazioni sindacali e 995 a organizzazioni settoriali. La sentenza del 2010 aveva lasciati invariati i tetti contributivi che ciascun individuo poteva erogare direttamente ai politici. Il massimo che un donatore può dare un politico direttamente è fissato in 2.600 dollari, ma complessivamente i donatori non potevano dare più di 48.600 dollari direttamente ai politici e 74.600 dollari ai comitati di partiti.

Ciascun donatore in sostanza non poteva finanziarie più di 24 politici in un ciclo elettorale di due anni. La rottura c'è stata quando un uomo d'affari dell'Alabama, Shaun McCutcheon, dopo aver contribuito con 33mila dollari per 16 candidati nelle elezioni del 2012, aveva identificato donazioni per 1.776 dollari ciascuna per altri 13 candidati. Questo però lo avrebbe portato al di sopra del limite di 48.600 dollari e dunque gli fu proibito, da qui il suo ricorso in Corte Suprema: secondo lui venivano violati i suoi diritti costituzionali. La Corte, guidata da John Roberts, il Chief Justice, ha approvato il ricorso con una maggioranza di 5 a 4. Da una parte tutti i conservatori, con Roberts hanno votato Sam Alito, Antonin Scalia, Anthony Kennedy e Clarence Thomas. Contro hanno votato i "liberals", la sinistra della Corte, guidata da Stephen Breyer appoggiato da Ruth Bader Ginsburg, Sonia Sotomayor e Elena Kagan. La differenza ideologica è chiarissima: Roberts ha invocato il primo emendamento alla Costituzione che protegge la libertà di espressione: «Nella nostra Costituzione non c'è nulla di più fondamentale del diritto a partecipare alle elezioni dei nostri rappresentanti politici», ha scritto Roberts nel documento finale lungo 88 pagine. Di fatto, con quella decisione si è stabilito che vi sono dei limiti all'azione del governo per controllare donazioni politiche che riflettono la libertà di espressione, in questo caso per l'elezione di un politico.

Bryer, nella sua opinione dissenziente, ha scritto che la decisione di togliere i tetti ai contributi complessivi «porta all'infinito potenziale il contributo di un privato a un politico...un individuo a questo punto potrà trovare il modo di contribuire con milioni di dollari anche a un singolo politico». Se il limite di una donazione diretta di
2.600 dollari per politico da parte di un privato resta, se i fondi verranno convogliati direttamente sui partiti (che sono diversi dai Pac e soffrivano ancora di limiti) le cifre potranno essere di milioni di dollari.

E qui arriviamo a un intervento di ieri del comitato editoriale del New York Times che anticipa una manipolazione della politica, del Congresso e dei comitati chiave per la decisione di regole e nuove leggi mirate sempre alla protezione del consumatore e del cittadino, che finirà per esautorare il diritto come lo abbiamo conosciuto fino a oggi.
C'è forse un rischio per la democrazia americana? Fino a un certo punto. La storia ci ha detto che il danaro aiuta ma non è determinante per la vittoria elettorale se non ci sono anche le condizioni di fondo in termini di credibilità politica, forza, magnetismo sull'elettorato. Ma in settori come quello delle telecomunicazioni, dell'ambiente, della finanza e molti altri, da qui ai prossimi due anni molte cose potrebbero cambiare. Tanto più che, come si è detto, il Senato è a portata di mano per un cambiamento di
maggioranza: dei 36 seggi in palio ( sono 33 ma ci sono tre elezioni speciali), la maggioranza appartiene a democratici. E un campione esaminato dal politologo Larry Sabato mostra che i democratici sono vulnerabili: «Ai repubblicani mancava solo l'ultima spinta: ora l'hanno avuta».

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